08 Marzo 2015


Discorso del Vice Presidente Giovanni Legnini su “Il pensiero morale: leggi e continuità”

Ringrazio Pomilio Blumm per l’invito rivoltomi a partecipare a questo Forum.

Vi ringrazio anche per aver voluto attribuire a me il compito di introdurre un punto di vista ancorato ai temi del diritto nell’ambito di un confronto, evocato dal felice titolo del forum “Il futuro nel passato”, cui prendono parte autorevoli e prestigiose personalità che saluto insieme a tutti voi.

Il tema trattato, di estrema attualità, è quello del rapporto tra gli ordinamenti giuridici e il trascorrere del tempo. Al riguardo, non risulta eccesivo definire epocali i cambiamenti in atto, sia dall’alto della dimensione globale che dal basso dei mutamenti via via crescenti nella vita di ciascun soggetto di diritto.

Le trasformazioni cui assistiamo rischiano di indebolire la sovranità degli Stati e dei loro ordinamenti giuridici, determinando l’inevitabile mutamento dei rapporti tra diritto e morale e la conseguente erosione del primato della legge. I due profili sono connessi: all'indebolimento degli Stati sovrani, all’incremento del multiculturalismo nella società ed all’ampliarsi del fenomeno dell’economia globale, corrisponde la difficoltà degli ordinamenti costituzionali pluralisti di contenere e far convivere le regole morali di singoli gruppi.

Seguendo la sollecitazione offerta dal titolo del Forum, occorre prendere le mosse dal problema della continuità nei sistemi giuridici, del rapporto tra tempo e diritto, tra passato e futuro di ciascun ordinamento. La dottrina costituzionalistica è impegnata a identificare e marcare i momenti di transizione, quelle, cioè, che Santi Romano battezzò “le instaurazioni di fatto di un nuovo ordinamento”. Si tratta di questione cruciale, specialmente con riferimento ai sistemi contemporanei, per lo più contraddistinti da Costituzioni rigide, modificabili solo mediante procedure di revisione aggravate rispetto ai normali procedimenti legislativi. Il tema d’attualità si palesa subito: il crinale oltre il quale un ordinamento giuridico non si riconosce più per quello che è, oppure - meglio ancora - diviene un altro da sé mutando nei suoi elementi essenziali.

Si determina così la rottura massima del sistema giuridico vigente con il suo immediato passato, perché tendono a prevalere elementi di novità nella società e nei valori che ad essa conferiscono ordine; a sua volta, l’evento di rottura implica il superamento dell'assetto ordinamentale formato e consolidato.

Tale laceramento del continuum storico di cui vive ogni ordinamento giuridico, rischia di provocare, in tali momenti di rottura, la perdita definitiva di effettività delle Carte Costituzionali.

Posto che ciò non accade soltanto con gli eventi rivoluzionari, occorre domandarsi se tale fenomeno non si stia verificando anche in questa contingenza storica, caratterizzata da epocali trasformazioni di ordine etico, culturale, economico e tecnologico.

Il tema del futuro che si apre di fronte al passato, dinanzi all'immobilismo o alla resistenza del legislatore, viene spesso affrontato dalla giurisdizione, spinta a svolgere interpretazioni creative o evolutive, o persino dai soggetti privati che tendono a prescindere dagli ordinamenti statali, a percorrere una strada itinerante nella scelta dei sistemi e delle regole più adatte a soddisfare i loro interessi.

Un modo ricorrente, sebbene non immune da critiche, per adattare gli ordinamenti ai cambiamenti in atto è la retroattività dell’efficacia di talune norme giuridiche introdotte sovente da un legislatore che annaspa di fronte al mutare repentino dello “spirito del tempo”. Principio generale dell'ordinamento italiano, cui il massimo organo legislativo dovrebbe attenersi, è però quello sancito dall’articolo 11 delle Disposizioni preliminari al Codice civile: “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Dal punto di vista della teoria generale del diritto - senza incorrere in eccessive semplificazioni - l’approvazione di norme retroattive svela il malcelato tentativo di modificare quanto già accaduto in un ordinamento per riplasmarlo, riqualificarlo, conferirvi effetti giuridici diversi, imprevedibili nel passato.

Si avverte immediatamente la crucialità del tema per i profili etici e non solo giuridici, del rapporto tra tempo e regole, giacché di rado la legge retroattiva è “giusta”, efficace e percepita come ragionevole.

Le norme retroattive sortiscono, infatti, l’effetto di travolgere, inficiare e condizionare le legittime aspettative di terzi. Invero, la norma retroattiva tende a plasmare comportamenti già avvenuti conferendogli una nuova qualificazione giuridica che determina, a sua volta, un diverso ed ulteriore assetto degli interessi dei singoli.

Viene meno la intangibile certezza del diritto, collante decisivo per la complessiva tenuta e legittimazione dell’assetto ordinamentale.

Il tema della prevedibilità e della certezza del diritto apre lo scenario in cui si muovono i sistemi normativi odierni, quello della dimensione globale e virtuale che connota l’attuale fase segnata dalla necessità di una marcata discontinuità con il passato.

Com’è stato detto, ci si accosta ad un diritto che deve rendere intelligente la globalizzazione. Secondo Dani Rodrik “L'iperglobalizzazione è incompatibile con la democrazia. Una base esigua di regole internazionali che lascino sufficiente spazio di manovra ai governi nazionali rappresenterebbe, invece, una globalizzazione migliore poiché potrebbe correggerne i mali caratteristici e nello stesso tempo preservarne gli essenziali vantaggi economici”.

Ne discende che si avverte maggiormente la necessità di una globalizzazione più razionale, più che il bisogno di raggiungere livelli massimi di globalizzazione: è la dicotomia tra l’opzione di assecondare l’ampiezza e la veemenza inesorabile dei fenomeni e l’opposta esigenza di governarli, di non abbandonarci alla deriva delle forze selvagge dell’economia. Quest’ultima ormai, per propria natura, non tende, infatti, all’equità, alla giustizia sostanziale, all’equilibrio che colma le sperequazioni distributive.

Non stupisce allora che la dimensione dei processi cui assistiamo e l’ansia del difficile contenimento dei loro effetti spiazzanti costituisca sfida ed obiettivo del diritto del nuovo millennio.

Analizzando, seppur solo per accenni, alcuni dei mutamenti con cui siamo chiamati a confrontarci, si nota come la forza delle trasformazioni produce resistenze e come le urgenze pongano a dura prova le istituzioni, chiamate ad affrontare con risolutezza il rapporto tra passato e futuro.

Esempio è il fenomeno dei flussi migratori e della conseguente crescita delle seconde e terze generazioni di nuovi cittadini, figli di immigrati; limitando lo sguardo alla dimensione europea, il numero totale di stranieri provenienti da stati extracomunitari, in base ai dati Eurostat del 2012, era di 20,5 milioni di persone, per la maggior parte provenienti da paesi dell’Africa settentrionale, in particolare Marocco e Algeria. I problemi determinati dall’integrazione, dalla tutela delle identità, dai riflessi sulla sicurezza pubblica, condizionano non solo le relazioni internazionali tra gli Stati ma anche, e forse soprattutto, i rapporti economici e sociali tra gli individui.

Le recenti vicende che vedono irrompere, sull’attuale panorama geopolitico, un movimento fondamentalista volto alla costituzione di uno stato islamico impongono una riflessione sull’imprescindibile valore della convivenza in una società multietnica e sul riproporsi di uno “scontro di civiltà”.

Le dimensioni dell’odierno fenomeno migratorio, amplificato dalle inedite caratteristiche dello spazio globale e dall'era della comunicazione telematica continua e iperdiffusa mediante la rete, esercita pressioni stringenti sui confini giuridici e territoriali degli ordinamenti internazionali.

La regolazione dei flussi, la disciplina dei visti e delle permanenze temporanee, la tutela del diritto d’asilo, la protezione delle identità e delle minoranze, la sicurezza per chi arriva e chi accoglie, l'incidenza delle migrazioni sui sistemi fiscali, previdenziali e sanitari, sono tutti temi accomunati dalla medesima criticità: l’individuazione di un difficile ordine di regole e diritti. Anche i rischi connessi al terrorismo internazionale, creano fratture nei tentativi di conciliazione tra esigenze di sicurezza e diritti di libertà, circolazione (lo dimostra la discussione e il contenuto del recente decreto legge antiterrorismo, in fase di conversione in Parlamento).

Perno è, ancora una volta, il legame con il rapporto tra passato e futuro, tra un consolidato sistema di valori morali e di regole di convivenza rassicuranti la cui tenuta vacilla di fronte alla necessità di disciplinare società multietniche.

Si prenda, poi, in esame la rilevante problematica della regolamentazione giuridica a tutela della privacy e degli interessi anche economici dei singoli utenti le cui lacune determinano una grave carenza in termini di certezza del diritto.

La velocità di adeguamento degli ordinamenti giuridici è assai inferiore all'evoluzione tecnologica determinando non pochi dubbi interpretativi ai giudici prima ancora che ai legislatori. Ad esempio, la Corte suprema statunitense, nel maggio scorso, ha esteso le garanzie previste per gli atti limitativi della libertà personale, alle perquisizioni dei telefoni cellulari (habeas corpus come habeas data): la decisione si fonda sul riconoscimento di come, oggi, questi dispositivi racchiudano interi frammenti della vita privata di ciascuno e non possono, dunque, essere disciplinati come lo erano anche solo pochi anni fa.

Nello stesso periodo, la Corte di Giustizia europea con la sentenza Google vs Spagna relativa al diritto all’oblio, ha sancito il diritto di ciascuno a richiedere la sottrazione della notizia dallo spazio pubblico quando non sia più attuale (pur consentendo che venga mantenuta nel “sito-sorgente”).

Si è alla ricerca di nuovi paradigmi per la convivenza tra storia individuale e memoria collettiva, tra diritto di cronaca ed esigenza di ciascuno a non vedere la propria esistenza ridotta a un dettaglio di irreversibile clamore, non di rado fuorviante o scarsamente rappresentativo.

Alcuni diritti fondamentali, in particolare quelli realtivi alla dignità e alla riservatezza rischiano di essere travolti da un utilizzo distorto della rete; dunque, tra le nuove sfide che la postmodernità ci impone, vi è anzitutto quello di definire un livello minimo di regolamentazione dello spazio di comunicazione comune e pubblico: in primo luogo, la scelta sull’an e sul quomodo di un suo (corretto) utilizzo e la predisposizione di una normativa transnazionale per internet al fine di elidere il rischio di una zona franca dove violare impunemente i diritti, in nome di una lex mercatoria indifferente a logiche diverse da quelle del profitto.

Apprezzabile, al riguardo, è l’iniziativa della Commissione speciale per internet della Camera dei Deputati, volta ad adottare e promuovere una Carta dei diritti in rete, capace di spaziare dal diritto all’oblio, al diritto all’autodeterminazione informativa, alla sorveglianza on-line, dalla garanzia dell’anonimato all’educazione digitale.Il rapporto tra le dinamiche economiche globali e gli ordinamenti giuridici nazionali è poi vicino al punto di rottura.

La dimensione multinazionale delle imprese, la loro capacità di forzare le regole o di costruirle privatamente, in carenza di un adeguato quadro normativo sovranazionale, la relativa facilità con la quale alcune regole vengono eluse anche mediante l'utilizzo delle nuove tecnologie, sono indici di una crisi profonda nel rapporto tra le regole del passato e quelle del futuro.

Qualora persista la debolezza degli Stati ad affrontare e regolare le sfide della globalizzazione, le grandi imprese si determinerebbero, sullo scenario globale, a strutturare una sorta di ordinamento separato o addirittura sarebbero tentate di accaparrarsi una giurisdizione privata nella quale forza economica e capacità di influenza, necessariamente sono destinate a prevalere e ad incidere sul contenuto finale della decisione di possibili controversie.

Sintomatica è la vicenda del TTIP, un accordo finalizzato all'integrazione economica tra Unione Europea e Stati Uniti. L’accordo prevede, altresì, la possibilità che gli Stati possano essere chiamati in giudizio dinanzi a collegi arbitrali, qualora le imprese e più in generale gli operatori economici si ritengano danneggiati da legislazioni nazionali che ledano le loro aspettative i profitto.

Come ha rilevato Marcello De Cecco in un recente articolo, "si tratta di un’innovazione giuridica che serve a limitare drasticamente la sovranità, favorendo ad esempio grandi società multinazionali che non esiterebbero a chiamare in giudizio, davanti alle già dette corti arbitrali, gli Stati invadendo la sovranità giuridica che essi hanno sui propri territori''.

Il rapporto tra passato e futuro nel mondo giuridico trova, sul terreno dei diritti civili e della bioetica, una maggior resistenza da parte dei legislatori ad intervenire; è, infatti, su questi principi che i mutamenti di valori e di culture si pongono in stridente contrasto con le consuetudini etica consolidate.

Spesso, i magistrati non dispongono dei tempi privi di scadenza, come quelli di cui beneficiano gli Stati nell'affrontare le sfide della regolazione; accade sempre più, quindi, che dei quesiti posti dall'evoluzione della costruzione sociale e dall'etica, si facciano carico le Corti.

Il caso di Eluana Englaro ha drammaticamente obbligato l’Italia intera ad interrogarsi sul significato etico e morale del fine vita; nonostante la durissima battaglia giudiziaria e l’asprezza di uno scontro parlamentare, per certi aspetti persino parossistico, la questione non ha trovato una sua definitiva sistemazione giuridica.

Il segno della sconfitta, tutta italiana, si misura nella crescita numerica dei cittadini, ben 50 negli ultimi 3 anni, i quali, al fine di interrompere sofferenze fisiche e psichiche, far valere la loro dignità ed il diritto di ciascuno alla felicità, hanno scelto di morire in esilio.

Si è di fronte, dunque, ad argomenti destinati a scuotere dalle fondamenta le acquisizioni culturali, religiose e giuridiche millenarie rispetto alle quali la fatica compositiva del diritto si protrae da molto tempo.

Non occorre aggiungere altro per notare che il valore dell'intreccio, tra etica, valori tradizionali e diritti delle persone a tratti appare inestricabile. Un terreno sul quale la forza del passato e la domanda di ingresso nel futuro confliggono in modo stridente.

Esistono enormi spazi permeabili al nuovo ed immense varietà per comporre i dualismi tra tradizione giuridica ed esigenze di innovazione, tra storicismo e postmodernità, tra specificità culturali e opposte tendenze all’omogeneità.

Si tratta di sfide che vanno condotte su un piano diffuso, al di là della competenza dei singoli legislatori nazionali: è sempre più evidente la necessità di definizione di un quadro regolatorio su scala transnazionale e globale in special modo in relazione alle tematiche poc’anzi affrontate.

Una possibile risposta risiede nel programma delineato dalla Costituzione italiana. Principio di eguaglianza sostanziale, tutela delle libertà fondamentali, garanzie dei diritti e rappresentanza parlamentare innervata di istituti di partecipazione: le grandi pietre angolari condivise nello spazio pubblico europeo, valori degli stati costituzionali, patrimonio comune con cui affrontare i nuovi, tumultuosi tempi ma, non per contrastare velleitariamente la globalizzazione, all’opposto, si tratta per tentare di governarla, di renderla a misura dei principi morali condivisi e dell'imprescindibile necessità di promuovere l’eguaglianza e la solidarietà.

In definitiva, un nuovo modo di declinare l’intangibile principio di legalità, sì da consentire al diritto di riprendere le redini del cammino degli uomini e della storia.

Oggi è l’8 marzo, data simbolo dei diritti e delle conquiste sociali delle donne in tutto il mondo.

Ieri, 7 marzo, ricorreva il cinquantesimo anniversario della marcia di Selma in Alabama guidata da Martin Luther King per il riconoscimento dei diritti civili e politici e contro le discriminazioni razziali in America.

Per concludere cito una delle frasi più celebri del reverendo King che lega i compiti delle diverse generazioni: “può darsi non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla”.

Faccio, infine, mie le parole che proprio ieri il presidente Obama ha pronunciato nella speciale celebrazione “il lavoro non è terminato, la marcia non è finita”.

Grazie ancora per questa stimolante opportunità.