09 Marzo 2017


Convegno su equilibrio di genere e dirigenza dell'amministrazione della giustizia e della pubblica amministrazione

Il Vice Presidente Legnini: "La percentuale di donne che ricoprono un incarico direttivo in magistratura è notevolmente cresciuta nell'ultimo periodo, specie nel settore Minorile e alla Sorveglianza"

Ringrazio il Comitato per le pari opportunità in magistratura e in particolare le Consigliere San Giorgio, Balducci e Casellati, per l’organizzazione di questo pomeriggio di dibattito e confronto sul dell’equilibrio di genere declinato in una prospettiva decisamente originale e ricca di sollecitazioni e stimoli. Avrà luogo oggi un dibattito aperto sugli equilibri di genere svolto con riguardo a due ambiti assai diversi quali quelli della dirigenza pubblica e della guida degli uffici giudiziari.

Non mancheranno poi interessanti e fertili spunti ricostruttivi che concernono la dirigenza nel rapporto tra pubblico e privato, i riflessi della partecipazione femminile di fronte alla politica, analisi di carattere sociologico e filosofico sul rapporto tra generi nel triangolo delle relazioni Potere – Autorità – Giustizia.

Ciò che è in comune tra la dirigenza giudiziaria e quella amministrativa è, almeno di norma e salvo eccezioni, l’estrazione di base che è per pubblico concorso. E’ intuitivo, peraltro, che la stessa procedura concorsuale in quanto selezione meritocratica, è per sua natura garanzia minima di equiparazione delle opportunità. Per converso, l’opposto deve dirsi per quegli incarichi di natura fiduciaria, che pure possono qualificarsi come dirigenziali ma per i quali di pari opportunità non può trattarsi. Dunque, la dirigenza di diritto pubblico, sia essa da riferire ai magistrati che alla guida delle amministrazioni, può sviluppare il perseguimento dell’equilibrio di genere attraverso strumenti simili, o quantomeno paragonabili: si tratta di accompagnare i percorsi di carriera garantendo la conciliazione del tempo lavoro con la genitorialità e con la vita extraprofessionale in generale. Questa è certamente una via che accomuna i due fronti, una strategia di lungo periodo che, se alimentata con coerenza, offre i suoi frutti.

Il Consiglio Superiore della Magistratura è consapevole dei passi da compiere lungo questo cammino. Testimonianza recente si evince dalla circolare sull’organizzazione tabellare degli Uffici che per la prima volta si incarica di è nitida nell’offrire spunti in favore del benessere organizzativo, orientato alla tutela prospettica della parità di genere, intesa come equiparazione delle chances di costruire percorsi di carriera adatti a dare spazio alle aspettative per concorrere al conferimento degli incarichi direttivi.

Ma il tema di genere in magistratura merita anche una rapida ricognizione per quello che vi è oggi da valorizzare nel quadro di insieme degli attuali dirigenti degli uffici giudiziari. Lo studio dei dati disaggregati – sui quali non mi soffermo analiticamente per ovvie ragioni di tempo e per non sottrarre spazio agli oratori che seguiranno – induce a due considerazioni di carattere generale:

a. La percentuale di donne che coprono un incarico direttivo si segnala perché, in una temperie non facile, è in assoluto notevolmente cresciuta nel periodo più recente. Da questo punto di vista, si tratta di uno dei risultati, conseguiti nel corso di questa consiliatura, di cui essere più orgogliosi. Particolarmente confortanti sono i dati che riguardano gli uffici semidirettivi conferiti in numero decisamente crescente alle donne. E’ una tendenza da interpretarsi in chiave dinamica perché è lecito attendersi che alla preposizione a compiti direttivi possa far seguito, con l’evolversi della carriera, il conferimento di un ufficio direttivo. Si è in presenza, pertanto, di un segnale prodromico che la svolta è ormai in atto e consente ad una nuova generazione di donne magistrato di ascendere nella carriera giudiziaria.

b. Inoltre, si tratta di una crescita particolarmente apprezzabile. Da un lato si conferma persino una prevalenza nei direttivi speciali. Mi riferisco, ad esempio, al Minorile e alla Magistratura di sorveglianza: la procura della Repubblica minorenni vede ad esempio 17 donne e 10 uomini a coprire i posti direttivi; e il panorama dei Tribunali di Sorveglianza fa segnare ben 15 presidenze femminili contro 11 uffici a guida maschile. Ma questi dati sono arricchiti dalla netta crescita della presenza femminile nella direzione di quegli Uffici apicali in cui solo pochi anni fa, si contavano poche, eccezionali presenze. Mi riferisco alle Corti d’Appello che vedono otto donne su venti posti complessivi di dirigenza.

Quel che si può dire, comunque, della specificità di genere in magistratura è che essa è stata oggetto di studio e di indagine da tempi non recenti. Muovendosi a ritroso, già nel 2004, il CSM aveva organizzato, insieme con la Commissione pari opportunità, un convegno dal titolo eloquente: “Partecipazione equilibrata degli uomini e delle donne al processo decisionale”. La prospettiva larga di quel titolo aveva il pregio di non ridursi al mero computo numerico dei posti di dirigenza occupati per genere, ma si proponeva di porre un orizzonte più largo di indagine e sviluppo culturale.

La sfida da raccogliere oggi deve tenere conto delle trasformazioni assai rilevanti delle funzioni della magistratura. in concreto, l’esigenza di garantire la parità di genere va perseguita mentre si assiste a mutamenti di alrga portata che investono l’ordine giudiziario. Le funzioni, infatti, cambiano molto e in un breve volgere di tempo: domina la capacità di gestione elettronica e persino statistica di imponenti flussi di contenzioso; le condizioni del processo e delle indagini penali si parcellizzano imponendo la specializzazione dei percorsi dio carriera; infine, va considerato l’abbreviarsi in termini di percorrenza anagrafica dei tempi della carriera in magistratura: si accede dopo e si è collocati a riposo obbligatoriamente prima che in passato, in seguito alle note novelle legislative che hanno preso forma a decorrere dal 2014. E’, dunque, sulla base di questi rilievi che si deve assicurare in concreto le pari opportunità, come del resto il Consiglio Superiore ha già provveduto a fare attraverso le specifiche norme introdotte nel nuovo Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria

Coltivare l’analisi delle prospettive di specialità di genere nell’ambito della magistratura consente anche di riflettere sulla significatività di alcune risultanze statistiche che possono manifestare, a tratti, spie di un qualche malessere sul ruolo delle donne nell’ordine giudiziario; a volte, invece, tali analisi possono mostrare vie di approfondimento e di riflessione. Ne segnalo una, in termini molto sintetici. La declinazione al femminile dei procedimenti disciplinari può offrire uno spaccato interessante, specie se si confrontassero i dati provenienti dal tasso e dai titoli di incolpazione, con gli esiti dei giudizi della Sezione disciplinare. Si inferiva, tra il 2009 e il 2014, che la componente femminile della magistratura era raggiunta in maniera minore dall’azione disciplinare.

Tuttavia, un dato in controtendenza si rivelava in tutta la sua pregnanza, e cioè che con riguardo ai procedimenti per ritardi nel deposito, l’incidenza dell’azione disciplinare nei confronti delle donne, si palesava crescente e superiore alle media. Si scorge, qui, un possibile spunto di riflessione connesso proprio alla composizione delle contraddizioni tra tempo lavoro e tempo in famiglia; appunto, una spia di difficoltà connesse con il crescente coinvolgimento dovuto all’incremento dei flussi numerici coniugato con l’impegnatività dei ruoli della donna nella vita extralavorativa. Al riguardo, mi preme rilevare come non si tratti di considerazioni astratte; basti considerare la pronuncia delle sezioni Unite della Corte di cassazione n. 201815 del 11 settembre 2013, in forza della quale si dava peso e rilievo alle misure di organizzazione primarie e secondarie poste in essere nell’ufficio giudiziario per valutare in concreto la possibile giustificazione dei ritardi di una giudice che aveva assunto le funzioni in coincidenza con la nascita della terza figlia. Orientamenti giurisprudenziali come questo, potranno, verosimilmente, aprire a seguiti futuri, cioè a pronunce che si spingano a valutare, in sede disciplinare, il rapporto tra pratiche organizzative e concrete condizioni personali connesse al genere. Mi riferisco alle già citate condizioni di benessere organizzativo e di tutela della genitorialità che ricevono crescente tutela nelle delibere di questo consiglio.

Certo, si tratta solo di uno spunto di interesse, per di più contraddistinto dall’esigenza di una nuova verifica dei rilievi statistici. Eppure, offre la possibilità di insistere su un metodo di attenzione, di analisi, di riflessione, di cui quella odierna costituisce una pagina determinante e fertile. L’obiettivo, dobbiamo esserne consapevoli, è quello di affinare gli strumenti volti a raggiungere un equilibrio di genere in magistratura. Istituti e scelte da rendere sempre più pervasivi e incisivi; ciò dipende in larga parte sulla possibilità di declinarli su tutte le funzioni tipiche consiliari. Ne deriverebbe un giovamento non piccolo alla causa dell’esercizio forte e diffuso del potere giudiziario da parte delle donne. E si sa che quello delle parità di genere è un campo che si nutre anche di molteplici e virtuose esperienze che alimentano la propalazione degli strumenti di equilibrio, nonchè la loro diffusione anche in ambiti diversi rispetto a quelli ove hanno visto la luce.

Ciò rinnova, ancora una volta, la consapevolezza che lo sviluppo umano e sociale di un Paese passa in maniere determinante per il riconoscimento adeguato della partecipazione piena alla funzione direttiva, politica ed economica delle donne. Occorre dirlo a viva voce, all’unisono con l’articolo 51 della Costituzione il cui invito perentorio è “a promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Dunque, per dettato costituzionale la garanzia dell’equilibrio di genere è compito della Repubblica e non del solo legislatore. Pertanto, si tratta di un valore che chiama in causa tutti noi, senza eccezioni.

Vi rivolgo dunque, i migliori auguri di buon lavoro a nome dell’intero Consiglio Superiore.