14 Luglio 2016


Intervista a Giovanni Legnini: "Toghe e difensori possono lavorare insieme"

"L'atto sottoscritto dal Csm e dal Cnf costituisce una novità da molti punti di vista". Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura commenta il protocollo siglato ieri tra toghe e avvocatura in un'intervista a Errico Novi pubblicata su Il Dubbio del 14 luglio 2016

"L'atto sottoscritto dal Csm e dal Cnf costituisce una novità da molti punti di vista". Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura commenta con soddisfazione il protocollo siglato ieri tra toghe e avvocatura: "A questo punto - aggiunge - dobbiamo verificare nel confronto tra avvocatura e magistratura e con il governo, quali provvedimenti siano indispensabili per una giustizia che funzioni".

La giustizia non più come terreno di scontro ma spazio per soluzioni comuni tra magistrati e avvocati. Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm, è questo il senso del Protocollo d'intesa tra Consiglio superiore della magistratura e Consiglio nazionale forense?
L'atto sottoscritto costituisce una novità da molti punti di vista. Quello che lei sottolinea è uno degli obiettivi del Protocollo. L'attuazione concreta dell'accordo ci consentirà di verificare se il traguardo sarà raggiunto. Sono convinto che una parte consistente delle scelte contenute nelle iniziative di riforma, a partire da quelle pendenti in Parlamento, non dipendano da visioni contrapposte, che si tratti di conflitti tra le forze politiche o di divergenze tra magistratura e avvocatura. Devono essere invece il punto d'incontro tra esigenze oggettive afferenti al funzionamento del sistema giudiziario. Dunque, opzioni capaci di raccogliere un largo consenso in modo da garantirne l'efficacia e la stabilità nel tempo. Se dovessi definire qual è il primo macro obiettivo dell'intesa, lo indicherei così: verificare, nel confronto tra avvocatura e magistratura e con il governo, quali provvedimenti siano indispensabili per una giustizia che funzioni, senza riproporre contrapposizioni del passato, spesso artificiose.

Il banco di prova può essere innanzitutto quello, concreto, delle best practices negli uffici giudiziari, che il Consiglio superiore ha sintetizzato nei giorni scorsi: le buone prassi corrispondono sempre anche alle necessità degli avvocati?
Vorrei intanto sottolineare un aspetto della delibera del Consiglio sulle Best practices: al pari dell'intesa sottoscritta con il Cnf, essa segna un mutamento culturale anche per l'autogoverno della magistratura. Entrambi gli atti sono stati definiti e approvati grazie al ruolo attivo dei componenti togati e laici. Fino ad oggi noi abbiamo assistito al proliferare di buone prassi, spesso con la partecipazione dell'avvocatura, che hanno contribuito a far emergere la necessità di diffusione della cultura organizzativa e della cooperazione tra tutti gli attori della giurisdizione. I tanti risultati positivi prodotti però necessitavano di una sintesi verso modelli organizzativi da mettere a disposizione di tutti gli uffici giudiziari. Il che costituisce l'essenza dell'operazione che il Csm ha inteso portare avanti.

Quello della comune definizione delle buone pratiche è appunto uno dei punti di convergenza previsti dal protocollo tra Csm e Cnf.
Infatti. Grazie al lavoro della Settima commissione e della Struttura tecnica per l'organizzazione del Csm e alla dedizione dei consiglieri Cananzi e Ardituro, ci sono oggi i presupposti per implementare il lavoro al quale il ministero della Giustizia, la magistratura e l'avvocatura, si sono dedicati in questi anni. E la delibera contiene appunto l'indicazione, che potrà essere oggetto di una prima attuazione dell'intesa col Cnf, di implementare questi modelli con apporti culturali esterni, anche dell'accademia.

L'atto appena siglato dà grande prestigio all'avvocatura: ma negli anni addietro l'immagine dell'ordine forense si era indebolita presso l'opinione pubblica?
Quando il sistema giudiziario è percepito come inefficiente, come incapace di fornire risposte tempestive, tutti gli attori della giurisdizione vedono intaccata la propria credibilità. L'autonomia e l'indipendenza della magistratura non può non coniugarsi con l'efficacia della risposta giudiziaria: lo sostengo da tempo. Il rischio è che in questa stagione, come sottolineava Mascherin nell'intervento in plenum, prevalgano le spinte di delegittimazione. L'accordo con il Consiglio nazionale forense è un contributo per arginare questi tentativi di delegittimazione delle istituzioni e di quella giudiziaria in particolare.

Liberare il terreno dal conflitto fa riemergere la vera funzione della giurisdizione: è così che si recupera la fiducia dei cittadini?
Non c'è dubbio che il conflitto permanente allontani gli obiettivi di miglioramento del sistema. L'intesa tra Csm e Cnf non propone un modello buonista, intendiamoci: non si tratta di trovare l'accordo a tutti i costi, ma di valorizzare le reciproche autonomie. Come? Con il confronto, la collaborazione, l'individuazione delle soluzioni per vincere la grande battaglia del processo giusto e della sua durata ragionevole. La legittimazione e l'autorevolezza, è vero, coincidono non già con l'efficientismo ma con le risposte di giustizia prevedibili e calcolabili, anche nei tempi.

Una riforma su cui toghe e avvocati sono chiamati a confrontarsi è quella delle intercettazioni. Le circolari dei procuratori capo che vietano di trascrivere le telefonate senza rilievo penale andrebbero tradotte in legge, nei decreti delegati del governo?
Quelle circolari dimostrano come con la cultura dell'organizzazione, che si realizza anche con l'autorevole esercizio delle funzioni direttive e con il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti nel processo, sia possibile rispettare i diritti anche a legislazione vigente. È così anche per il diritto alla riservatezza. È possibile che il legislatore renda più effettiva questa finalità, certo. Mi auguro che la decisione legislativa, che attuerà la delega parlamentare, si ispiri proprio alle soluzioni prospettate dai capi delle grandi Procure.

La firma dell'intesa con il Cnf la tocca, culturalmente ed emotivamente, anche come avvocato?
All'atto di assumere l'incarico di vicepresidente del Csm mi sono dimesso dal governo, dal Parlamento e dall'avvocatura. Dovevo e volevo essere libero da ogni condizionamento. Ciò non implica ovviamente la dismissione della mia cultura e della mia sensibilità pregresse come quella forense e istituzionale. Che anzi mi sostengono nell'esercizio della mia funzione istituzionale e di garanzia. L'intesa che abbiamo sottoscritto mi ha quindi coinvolto anche sotto il profilo culturale ed emotivo.

A condizione che al Protocollo seguano i fatti.
Guardi, questo accordo ha un carattere fortemente istituzionale. Non è una ricerca di generica collaborazione, quella già vive ogni giorno negli uffici e nei Consigli giudiziari. Con questa intesa però per la prima volta il governo autonomo della magistratura e l'istituzione di rappresentanza dell'avvocatura assumono impegni comuni. Ora occorrerà molto lavoro, pazienza e passione per misurarci insieme sugli obiettivi concreti, dalle riforme all'organizzazione giudiziaria, alla formazione, all'attività dei Consigli giudiziari. Sapendo che l'interlocuzione è a tre: magistratura, avvocatura e ministro della Giustizia.