15 Dicembre 2016


Intervento al Convegno: “Donne nelle istituzioni”

Il discorso del Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Legnini, sul ruolo delle donne nella vita democratica del Paese

Il contributo delle donne nell’Assemblea Costituente, e più in generale, il loro ruolo nella costruzione dello Stato democratico e repubblicano affondano le radici nella attiva partecipazione alla Resistenza. Il grado di coinvolgimento nella lotta di liberazione fu molto più intenso di quanto viene comunemente ritenuto. 

Qualche numero può aiutare a comprendere la rilevanza del fenomeno: in 70.000 furono organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna, 35.000 le donne partigiane combattenti, 20.000 quelle di supporto, 512 le commissarie di guerra, 4.563 vennero arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 2900 furono giustiziate o uccise in combattimento. Le medaglie d'oro al valor militare assegnate alle donne furono ben 19, 17 le medaglie d'argento. Le donne partigiane si impegnavano quotidianamente per recuperare i beni necessari e di sostegno alla lotta partigiana, svolgevano propaganda antifascista, assolvevano, spesso in modo temerario, al ruolo di staffetta. Tutto questo senza considerare le numerose donne italiane che nelle grandi città e nei piccoli centri mettevano a disposizione le loro case, assistevano i feriti, offrivano rifugio alle persone.

L’estensione dell’elettorato attivo e passivo al genere femminile fu dunque, dopo vari infruttuosi tentativi nel periodo pre-fascista, anche l’esito delle loro eroiche battaglie durante la Resistenza. 
 Non a caso, l’Onorevole Gallico Spano, l’8 marzo 1947 in Assemblea Costituente, così si espresse: “Si sono conquistate questo diritto partecipando con tutto il popolo alla grande battaglia della liberazione del nostro Paese (…) giovani e anziane, madri, spose e ragazze, intellettuali, operaie e contadine (…) si sono unite nel comune sacrificio per lo stesso grande amore per il nostro (..) paese”. 
Il primo passo nella direzione della loro partecipazione attiva alla vita politica del Paese era stato quello della nomina di 13 donne su 430 componenti nella Consulta Nazionale: l’assemblea introdotta, nel 1945, con funzioni consultive sull'attività legislativa del Governo provvisorio. 

La prima donna a prendere la parola a Montecitorio nel corso della seduta della Consulta Nazionale, il 1 ottobre 1945, fu Angela Cingolani che invitava i colleghi: " a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse, talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale”.

Erano, quelli, i prodromi della importante ed attiva partecipazione delle donne ai lavori dell’Assemblea Costituente. Le elezioni del 1946, infatti, consentirono l’accesso alla rappresentanza elettiva parlamentare di ben ventuno donne su 556 deputati.

Nella Commissione dei 75 cui, come noto, fu attribuito l’incarico di redigere il progetto della Costituzione repubblicana, entrarono in cinque: Iotti e Gotelli, nella Prima Sottocommissione che si occupava dei diritti e doveri dei cittadini; Federici, Merlin e Noce nella Terza, impegnata a redigere le disposizioni sui diritti e doveri che poi sarebbero state ricomprese nei Titoli Secondo e Terzo della Prima parte della Costituzione repubblicana.

Sia nelle Sottocommissioni che durante i lavori dell’Assemblea, l’attività delle donne Costituenti si rivelò decisiva e ciò non soltanto per il riconoscimento della parità di genere, ma per il miglioramento del tenore di molte disposizioni di portata generale della Carta fondamentale.

Tuttavia, non senza una connotazione paternalistica, si intendeva affidare alle donne la trattazione dei soli temi considerati, per cosi dire, di interesse femminile: la famiglia, l'infanzia, la scuola, l'assistenza. Le Costituenti, non si limitarono ad aver cura di tali questioni ma riuscirono a partecipare attivamente a quasi tutti i dibattiti di merito che riguardarono l’intera prima parte della Costituzione e ad incidere a fondo sulla stesura di molti dei principi fondamentali e delle norme attributive dei diritti. 

In particolare, appassionante si rivelò il dibattito sulla centralità della famiglia nella prospettiva di ricostruzione del tessuto sociale del Paese. Le Costituenti, al riguardo, fornirono un decisivo contributo sul ruolo dello Stato nel fornire sostegno e provvidenze alla famiglia, all’assistenza medica e domiciliare, nel prevedere degli sgravi fiscali e delle garanzie per l’acquisto delle abitazioni, di cui si manterrà traccia negli attuali articoli 31 della Carta. 

Ancora l’Onorevole Gallico Spano nella seduta del 17 aprile 1947 rilevò che: “Una famiglia nuova, democratica può contribuire al rinnovamento della vita italiana. Ecco perché è importante stabilire quali debbono essere all’interno della famiglia i rapporti dei coniugi fra di loro e dei genitori verso i figli”; “Ognuno deve avere nella famiglia doveri e diritti uguali”.
E l’Onorevole Nilde Iotti fece da contrappunto a tale impostazione osservando che “Deve essere riconosciuto il principio della eguaglianza giuridica dei coniugi. (…) Ne deriva l’eguaglianza dei doveri loro di fronte alla prole, per la sua educazione e istruzione”.

Affermazioni chiaramente anticipatrici degli sviluppi che quasi un quarto di secolo dopo avrebbero trasformato il diritto di famiglia in Italia.

Particolarmente appassionante fu la discussione sul tema del divorzio; così Filomena Delli Caselli:“Il divorzio è una cosa complessa, e certo non è una cosa così facile da affrontarsi e risolversi”
L’Onorevole Maria Rossi, aggiunse, in proposito: “Noi non poniamo la questione del divorzio (…) siamo anzi contrari che si ponga oggi questa questione, perchè essa non è sentita dalla maggioranza del popolo italiano, perchè vi sono oggi ben altri problemi dei quali urge trovare la soluzione”.

L’espressa previsione del divorzio in Costituzione non passò: fortissime erano le divisioni sul punto. In particolare era avvertito il rischio che assegnare fondamento costituzionale al divorzio indebolisse l’istituto matrimoniale e non sfociasse, invece, in una facoltà capace di riequilibrare la condizione femminile in ambito coniugale. Per il resto, mentre le battaglie delle donne in Costituente furono caratterizzate da un senso di unità e trasversalità.

Analoga forza le Costituenti espressero per la tutela della specificità del ruolo e della funzione materna, con esplicita, sia pur embrionale, introduzione delle azioni positive: congedi per la cura della prole, sospensione obbligatoria dal lavoro prima e dopo il parto, permessi per allattamento, divieto di lavori particolarmente nocivi, ma anche istituzione di asili nido e tutela della madre lavoratrice.
Teresa Noce, in particolare, ribadì che “La maternità è, oltre che una funzione naturale della donna, oltre che una missione umana, anche una funzione sociale, perché su di essa si basa la famiglia, perno della società, perché essa crea le nuove generazioni, avvenire dell’Italia”. 

Intensissimo fu poi l’impegno per il riconoscimento di pari dignità e diritti nel lavoro: parità di accesso, di retribuzione, di indennità di contingenza.

Notevoli e, di nuovo, anticipatrici dell’evoluzione sociale e normativa sul punto, furono le parole dell’Onorevole Merlin: “(…) in primo luogo la parità dei diritti della donna, estendendo al campo del lavoro ed al settore economico il principio di eguaglianza già stabilito in altra parte della Costituzione. E’ evidente come si intenda così tutelare la piena libertà della donna di dedicarsi ad ogni tipo di lavoro, nell’ambito delle sue capacità naturali e la pari dignità riconosciuta al suo lavoro, sia che esso si svolga tra le pareti domestiche ed entro la famiglia, oppure nell’azienda, nell’ufficio, nella scuola, nell’officina o nei campi”. 

L’impegno delle donne fu poi di riconoscere un effettivo statuto dei diritti ai figli nati fuori dal matrimonio.

“La Repubblica deve dare adeguata e giusta soluzione a questo problema riconoscendo ai figli illegittimi gli stessi diritti dei figli legittimi”. Così si esprimeva Nilde Iotti. E’ noto che la sfumata formula adottata nell’articolo 30 della Costituzione si contraddistingue per un notevole equilibrio, tutelando i figli nati fuori dal matrimonio e predisponendo una protezione compatibile con i diritti della famiglia legittima.

Le 21 donne Costituenti, inoltre, si impegnarono a fondo nel garantire sostegno a chi maggiormente soffriva, soprattutto a seguito delle devastanti conseguenze del secondo conflitto mondiale; chiesero ed ottennero provvidenze e tutela per emigranti dal Mezzogiorno, disoccupati e invalidi. 

Dunque, la formulazione degli articoli della Costituzione non si limitava ad assecondare i mutamenti culturali che, nel corso della prima parte del secolo, avevano già trasformato i ruoli e le relazioni fra i sessi nel Paese, ma si caratterizzarono per lungimiranza e capacità di anticipazione di tematiche che, di lì a poco, sarebbero emerse come autentiche ed urgenti prospettive di valorizzazione del ruolo femminile. Dal primo avanzamento delle azioni positive, alla progressiva individuazione di una necessaria tutela del doppio ruolo femminile in chiave attiva e progredita, nelle singole formazioni sociali. Del primo elemento vi sarà traccia nel ben noto secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione; del secondo indirizzo di sviluppo, si farà carico la redazione di una delle norme più avanzate dell’intera Carta fondamentale, il primo comma dell’articolo 37 sui diritti delle donne lavoratrici.

L’esempio forse più incisivo del contributo femminile al testo della Costituzione si rinviene nella formulazione dell’articolo 3. In primo luogo, si deve ad Angelina Merlin l’interpolazione della locuzione “di sesso” nel novero dei criteri di distinzione che non possono determinare discriminazioni di trattamento e che, introdotti alla radice del principio di eguaglianza formale, rappresenteranno altrettanti parametri sulla base dei quali superare anacronistiche disposizioni legislative dal carattere e dal peso limitante, discriminatorio e diminuente dello status femminile nella società italiana.

A Teresa Mattei si deve, poi, una delle più formidabili e lungimiranti aggiunte al testo del secondo comma dell’articolo 3, in punto di eguaglianza sostanziale. E’ l’espressione “di fatto” che, introdotta nella frase “limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, sviluppa l’effettività e la dinamicità del principio di eguaglianza sostanziale nell’intero ordinamento repubblicano.

Così si espresse sul punto la giovane Costituente Teresa Mattei “Vorrei fare osservare che nessun regime per principio, nei tempi moderni almeno, osa pronunziarsi contro i diritti femminili in termini costituzionali. (…) Perciò noi affermiamo oggi che, pur riconoscendo come una grande conquista la dichiarazione costituzionale, questa non ci basta. (…) noi chiediamo che nessuna ambiguità sussista (…). Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell'articolo 7 (poi divenuto, appunto, l’art. 3) nel seguente modo: “E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano “di fatto” - noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”. 

Lo strumentario costituzionale e normativo si è andato nei decenni successivi arricchendo di conquiste di notevole portata, fino alla legge costituzionale n. 1 del 2003, con la quale si inseriva, nell’articolo 51, il periodo secondo cui: “La legge promuove, con appositi provvedimenti, le pari opportunità tra uomini e donne”. Si tratta della radice costituzionale per le azioni positive, con le quali, dunque, l’ordinamento è chiamato non solo a bandire le discriminazioni – anche quelle di fatto o sviluppate in via implicita – ma proprio a rimuovere ostacoli giuridici o sociali, con puntuali interventi legislativi e di amministrazione generale.

La fase dell’inveramento e dell’attuazione della Costituzione nella società avrebbe poi testimoniato, tra il 1963 e il 1969, quanto lo spirito del tempo e il valore delle norme costituzionali convergessero in uno sviluppo pieno del ruolo femminile: mi riferisco, in particolare, alle pronunce della Corte Costituzionale favorevoli proprio all’accesso delle donne in magistratura e alla sentenza che dichiarava l’illegittimità del reato di adulterio.

Soffermandoci sullo snodo cruciale relativo al principio di esclusivo accesso degli uomini alla magistratura ordinaria, Maria Federici, Maria Maddalena Rossi e ancora Teresa Mattei si batterono per l’introduzione di una disposizione di portata specifica. Essa doveva consentire, finalmente, la piena parificazione tra i generi anche nella facoltà di partecipare alle procedure concorsuali.
E’noto che la proposta emendativa, del seguente tenore: “le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura”, subì, in prima battuta, una sorte sconfortante, risultando respinta a larghissima maggioranza.

Tuttavia, grazie ad una successiva proposta di portata generale, avanzata da Maria Federici, l’ingresso in magistratura finì per essere garantito dalla versione conclusiva dell’art. 51 Cost., che stabilisce l’accesso a tutti gli impieghi pubblici senza distinzione di sesso.

Quello del ruolo delle donne in magistratura costituisce una delle più imponenti parabole del progressivo e crescente impegno della donna nella vita istituzionale del Paese, dato che il punto da cui muovere era rappresentato da stratificati ed assurdi pregiudizi, secondo i quali, ad esempio, alla donna non si confacevano le funzioni giudiziarie e, in generale, persino la calma e la autonomia di spirito e pensiero, alla base della terzietà, autonomia e indipendenza che sempre il giudice deve mostrare di possedere.

Pregiudizi e mistificazioni che oggi fanno persino sorridere, ma rendono nitida l’idea di quale fosse il muro che si trovavano a scalare le donne Costituenti.

Emblematico di tale atteggiamento di chiusura fu l’intervento di Giovanni Leone: “Si ritiene che la partecipazione illimitata delle donne alla funzione giudiziaria non sia per ora da ammettersi. (…) negli alti gradi della Magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell'equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni”.

“Nella donna prevale il sentimento al raziocinio, mentre nella funzione di giudice deve prevalere il raziocinio al sentimento”, riuscì ad affermare l’Onorevole Giuseppe Cappi. 

Più prosaicamente l’Onorevole Codacci Pisanelli disse che “in udienza, alle volte, la discussione si protrae per ore ed ore e richiede la massima attenzione da parte di tutti. E’ evidente che per un lavoro simile sono più indicati gli uomini che le donne”.

E che dire dell’affermazione dell’Onorevole Mole’, il quale arrivò a sostenere che “è soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico che la donna non può giudicare”. 

A tali argomentazioni, replicavano con forza le 21 donne in Assemblea Costituente “E' un pregiudizio, un preconcetto” affermò, infatti, Maria Federici che, poi, aggiunse “Durante la discussione (…) abbiamo sentito portare avanti argomenti così triti e così superficiali da generare (…) un senso di mortificazione”.

 “Voler limitare o addirittura vietare l'accesso delle donne alla Magistratura (…) contraddice la lettera e lo spirito dell'articolo 48. (…)Se negassimo alle donne l'accesso alla Magistratura, noi tradiremmo la fiducia della grandissima maggioranza di coloro, uomini e donne, che ci affidarono la tutela dei loro diritti” aggiunse l’Onorevole Maria Maddalena Rossi.

La discussione si chiuse considerando ricompresa nella previsione dell’art. 51 il diritto di accesso delle donne in magistratura.

Fu, tuttavia, necessario attendere la Sentenza della Corte Costituzionale n. 33 del 1960 per rimuovere il divieto previsto dalla legge n. 1176 del 1919 che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicavano esercizio di diritti e potestà pubbliche in quanto in irrimediabile contrasto con l’art. 51 della Costituzione; poi la legge n. 66 del 1963 finalmente sancì il diritto di accesso delle donne alla magistratura. 

Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne fu bandito il successivo 3 maggio 1963; 8 furono le donne vincitrici del concorso: Letizia De Martino, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D’Antonio, Annunziata Izzo, Giulia De Marco, Emilia Capelli.

Oggi le donne in magistratura sono 4699, gli uomini 4462: il 51% contro il 49%; le donne dirigenti, a seguito dell’ultima tornata di nomine di questa consiliatura rappresentano il 25,6% di incarichi direttivi ed il 37,4 % di incarichi semidirettivi; un notevole incremento a fronte delle percentuali irrisorie di pochi anni fa.

Un risultato di cui questo Consiglio Superiore è orgoglioso e che prelude ad ulteriori avanzamenti nella parità di genere ai vertici degli uffici giudiziari italiani. 
Si tratta di una delle vette, forse persino la vetta più alta, cui è approdata la parità di genere nel sistema costituzionale italiano.

Tutto ciò si deve alle strenue battaglie delle donne italiane iniziate in epoca lontana, dalla Resistenza, all’Assemblea Costituente, in Parlamento, nell’ordine giudiziario e nella società.
Un risultato di straordinario valore per la società e per le istituzioni di cui voi donne potete essere molto fiere.

Certo, c’è ancora molto da fare: la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura e delle Corti Superiori, su cui si sono soffermati Ercole Aprile e Maria Rosaria San Giorgio, Gianni Canzio, i vertici delle Corti stesse, la Prima e la Seconda carica dello stato.

Noi uomini abbiamo il dovere di superare definitivamente paternalismi e resistenze. E Voi donne avete il diritto di continuare a cogliere i frutti di quelle eroiche e fertili battaglie, di essere fiere dei risultati e dello straordinario valore del vostro impegno nella società e nelle Istituzioni.