17 Giugno 2014


Green economy, la fiscalità ambientale leva per la crescita e lo sviluppo

Oggi il sottosegretario all'Economia, Giovanni Legnini, è intervenuto presso la Commissione Attività Produttive della Camera per un'audizione sulla "Green Economy". Ecco il testo dell'intervento

L’UNEP (Programma ONU per l’ambiente)  definisce economia verde quella che comporta

"il miglioramento del benessere umano e dell'equità sociale, riducendo in modo significativo i rischi ambientali ed il consumo di risorse"(UNEP 2011).

Alla Conferenza di Rio del 2012 i Governi hanno sottolineato l’importanza di considerare la green economy come principio guida delle loro politiche di sviluppo.

La maggior parte delle interpretazioni di sostenibilità prendono come punto di partenza il consenso raggiunto dalla Commissione sull’Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED) nel 1987, che ha definito lo sviluppo sostenibile quello “che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni".

Le politiche e gli strumenti di sostegno e sviluppo della green economy sono passati dall’essere considerati un vincolo all’essere visti come risorsa per un diverso modello di sviluppo, riorientando le scelte sia in ambito internazionale che europeo e nazionale.

La strategia “Europa 2020” riconosce esplicitamente la necessità di creare sinergia tra obiettivi economici e ambientali, e sostiene la transizione verso una 'economia verde'. Migliorare l'efficienza delle risorse è una pietra miliare in questa iniziativa, i cui obiettivi concreti si trovano nella 'Roadmap verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse' (CE, 2011). La Roadmap prevede che 'entro il 2050 l'economia dell'UE sia cresciuta in modo da rispettare i vincoli delle risorse, così da contribuire a una trasformazione economica globale'.

Le interpretazioni del concetto di 'green economy' possono variare in certa misura, ma c'è un ampio terreno comune tra i concetti impiegati da governi, imprese ed organizzazioni internazionali a livello mondiale: la green economy implica un superamento del 'paradigma economico’ in passato prevalente e un cambiamento di rotta, per adottare misure regolamentari e forti incentivi finanziari all'innovazione, agli investimenti (per esempio, in tecnologie verdi), a comportamenti di consumo sostenibile e condivisione delle informazioni.

Un'economia verde crea opportunità generando nuovi posti di lavoro e spostando le opportunità da aree che si basano su risorse non rinnovabili (ad esempio i combustibili fossili) ad altri settori quali l'industria del riciclo/riuso.

In sede europea è stata introdotta  una definizione di “green jobs” basata su due tipologie: lavori correlati a produzione di beni e servizi che migliorano l’ambiente od ottimizzano l’utilizzo delle risorse, cioè che comportano un’output positivo; ovvero lavori che comportano pratiche e processi che utilizzano minori risorse o sono più sostenibili, cioè che comportano una riduzione dell’impatto.  Nel 2013, sono quasi 52mila le assunzioni di green jobs (sia non stagionali che stagionali) previste dalle imprese dell’industria e dei servizi con dipendenti (9,2% del totale). Mentre sono 81mila le assunzioni di figure attivabili dalla green economy (14,4%). 

Secondo l’elaborazione del rapporto GreenItaly presentato nei giorni scorsi, a partire dalla classificazione Istat CP2011 delle professioni “green jobs”, gli occupati complessivi in tutta l’economia verde (sia privata che pubblica), al 2012, sono quasi 3 milioni e 100mila (3.056,3 mila), corrispondenti al 13,3% dell’occupazione complessiva nazionale. Un dato in sintonia con i risultati dell’Eurobarometro su “Pmi, efficienza delle risorse e mercati verdi”, in cui si afferma che nel 2012 circa il 13% degli occupati nelle Pmi può essere considerato un green job, nel senso che applica competenze verdi durante tutta o parte delle proprie mansioni lavorative.

Tale trasformazione economica migliora l'equità sociale e genera una più equa ripartizione degli oneri, sia in termini di costi e benefici economici che ambientali (EEA – Agenzia Europea Ambiente, 2012).

E’ significativo a tal proposito che, in linea con le esperienze più avanzate che stanno prendendo forma in tutto il mondo, sin dal dicembre 2010 Cnel e Istat si siano impegnati a mettere a disposizione della collettività uno strumento capace di individuare gli elementi fondanti del benessere in Italia e nei suoi molteplici territori. Gli indicatori del Bes (Benessere Equo e Sostenibile in Italia) integrano i dati macroeconomici, divenendo riferimento in grado di segnare la direzione del progresso che la società vuole realizzare, in linea con gli obiettivi internazionali ed europei.

Dagli ultimi dati disponibili emergono elementi importanti di riflessione per orientare le scelte politiche di sviluppo, ma anche un’evoluzione positiva in significative aree che mettono l’Italia tra i primi paesi OCSE per alcuni indicatori ambientali.

Le iniziative del Governo Italiano nell’ambito della strategia Europa 2020

Promuovere un migliore utilizzo del capitale naturale, mediante un mix di politiche in grado di internalizzare le esternalità ambientali, consentirebbe di valorizzare alcuni settori strategici del nostro sistema produttivo – la filiera agro alimentare, il turismo, i servizi a elevato valore aggiunto e il sistema industriale nel suo complesso.

L’attuazione di una strategia di sviluppo ecosostenibile può creare nuove opportunità di business e aumentare la competitività delle imprese, riducendo i costi di approvvigionamento delle risorse naturali, tra cui le fonti energetiche, e l’esposizione del sistema economico alle oscillazioni delle loro quotazioni.

L’obiettivo di tale strategia è la piena affermazione di un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo in grado di prevenire il degrado ambientale, il depauperamento del capitale naturale, la perdita di biodiversità e di utilizzare in modo efficiente le risorse naturali, creando al tempo stesso nuova occupazione. L’uso efficiente delle risorse risponde alla duplice necessità di stimolare la crescita e assicurare che questa avvenga in modo sostenibile.

La strategia del Governo, ampiamente descritte nel Piano nazionale di riforma approvato dal Governo ad aprile e promosso a Bruxelles all’inizio di questo mese, si muove in linea con il “Collegato ambientale alla legge di stabilità 2014” (“Agenda Verde”), tutt’ora all’esame del Parlamento, con le azioni di salvaguardia del territorio e del paesaggio, tra cui in primis il DDL sul contenimento dell’uso del suolo e riuso del suolo edificato, con quelle sul risparmio e l’efficienza energetica, che costituisce la prima priorità della Strategia Energetica Nazionale, fino al recepimento da parte del Governo (CdM 4 aprile) della direttiva efficienza energetica, ora all’esame delle competenti Commissioni Parlamentari, e con diverse altre misure adottate dai passati Governi.

Gli obiettivi per la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio sono stati definiti a livello comunitario mediante il pacchetto clima energia (“Pacchetto 2020”) e inglobati nella strategia “Europa 2020” per rilanciare l’economia dell’Unione. Tale strategia è considerata una tappa intermedia rispetto a un orizzonte di più lungo periodo. La sfida nei prossimi anni, già intrapresa a livello europeo, è quella di “dissociare” la crescita economica dal consumo delle risorse. Per conseguire questo obiettivo, il governo seguirà le linee guida tracciate nel PNR 2014 e farà leva sui seguenti elementi principali.

Fiscalità ambientale

Come nei principali paesi OCSE, in Italia le tasse ambientali coincidono largamente con le tasse sui prodotti energetici (2,3% del PIL nel 2012) e sui veicoli (0,7% del PIL). Sono inoltre previste tasse sull’inquinamento (emissioni SO2 e NOx) e sui conferimenti in discarica, parzialmente a livello locale. Le tasse sull’inquinamento rappresentano tuttavia una quota marginale delle entrate ‘ambientali’. Il gettito delle imposte sui prodotti energetici è in generale il risultato dell’applicazione di differenti aliquote a seconda della tipologia dei prodotti e dell’utilizzo al quale essi sono destinati (autotrazione, riscaldamento, usi agricoli, combustione).

Nel corso degli anni recenti, è aumentata in modo significativo l’incidenza delle imposte ambientali sul Pil, a seguito delle misure adottate a partire dall’estate del 2011 ai fini del consolidamento dei conti pubblici: nel 2012 le imposte ambientali rappresentavano il 3,1% del Pil (erano il 2,3% del Pil nel 2008), registrando un incremento significativo delle accise sugli oli minerali (passate da un 23,4 miliardi di euro nel 2008 a 28,2 miliardi di euro nel 2012). Il prelievo fiscale sui prodotti energetici, e in particolare le accise sulla benzina e il diesel, è oggi uno dei più alti tra i paesi europei (l’Italia si colloca al secondo posto per il livello delle accise sulla benzina, dopo i Paesi Bassi; e per il livello delle accise sul gasolio dopo il Regno Unito).

Le raccomandazioni della Commissione europea nel quadro della nuova governance economica dell’Unione sull’utilizzo della riforma fiscale ecologica per il rilancio della crescita sostenibile, da un lato, e la proposta di modifica della direttiva comunitaria sulla tassazione dei prodotti energetici[1], dall’altro, pongono oggi la fiscalità ambientale al centro del dibattito del nostro Paese.

In primo luogo, per conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti e portare il sistema economico lungo un sentiero di sviluppo che faccia un uso meno intensivo delle fonti fossili, una rimodulazione fiscale sui prodotti più inquinanti è coerente con le raccomandazioni della Commissione Europea di spostare gradualmente il prelievo dai fattori produttivi ai consumi ambientali e di sostenere per questa via crescita e occupazione. Nell’ambito delle procedure del semestre Europeo, la Commissione ha formulato negli ultimi anni tra le raccomandazioni specifiche per l'Italia di spostare l'onere fiscale sul consumo, i beni e l'ambiente, in modo da ridurre la pressione fiscale sul lavoro e i capitali, senza incidere sul gettito. Le imposte ambientali, insieme a quelle sui consumi e sulla proprietà, sono ritenute infatti tra gli strumenti con un impatto positivo sulla crescita e,  in un contesto di vincoli per il risanamento dei conti pubblici, un maggiore orientamento a riforme che spostino gradualmente il prelievo dalle imposte dirette a quelle ambientali potrebbe contribuire a ridurre le distorsioni economiche che ostacolano l'efficienza del sistema fiscale. Assicurare una tassazione ambientale più efficace ed eliminare i sussidi e gli incentivi dannosi per l’ambiente risulta nel giudizio della Commissione europea una strategia essenziale per promuovere la crescita economica e la competitività del nostro Paese.

Va peraltro ricordato che a livello comunitario, le politiche energetiche si sono orientate da oltre un decennio a perseguire un maggiore equilibrio, nei sistemi fiscali degli Stati membri, tra incentivi e disincentivi[2]. Nell’aprile 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva 2003 con il duplice obiettivo di razionalizzare la tassazione del valore energetico dei combustibili e, in particolare, di introdurre una componente che valorizzi le esternalità nega­tive legate alle emissioni di carbonio, da un lato, e di coordinare la tassazione energetica con il sistema EU ETS, dall’altro. La proposta di modifica eleva il livello minimo di tassazione già fissato dalla direttiva 2003 e lo scinde in due distinti elementi, uno legato alle emissioni di CO2 e l’altro alla componente energetica, in modo che i livelli di imposizione riflettano uniformemente per tutte le diverse fonti di energia sia le emissioni di CO2 sia il potere calorifico netto.

La proposta iniziale di direttiva prevedeva tre aspetti qualificanti: 1) il  principio di proporzionalità o concatenazione delle aliquote, ovvero gli Stati membri avrebbero dovuto adeguare le accise nazionali in base al rapporto esistente tra i livelli minimi di imposizione fissati dalla proposta di revisione per le diverse fonti di energia in modo da riflettere correttamente il rapporto tra il valore energetico dei diversi carburanti[3]; 2) l’introduzione di una componente per la valorizzazione del contenuto di carbonio dei prodotti en­ergetici; 3) il coordinamento della tassazione energetica con quella dei prodotti energetici mediante un’esenzione obbligatoria per i settori appartenenti all’Emission Trading System, che si applica attualmente alle emissioni provenienti dagli impianti industriali e da alcuni tipi di combustione, a differenza della tassazione energetica che viene applicata agli usi di combustibile[4]. Nel secondo semestre 2012 alcuni punti cardine della proposta iniziale della Commissione, tra cui la concatenazione delle aliquote che di fatto limitava fortemente la sovranità fiscale degli Stati membri sono stati stralciati. E’ invece stato confermato che i livelli minimi di tassazione previsti nella nuova direttiva dovranno tener conto sia del contenuto energetico dei prodotti sia delle relative emissioni di CO2, fermo restando che gli Stati membri manterranno completa flessibilità nel determinare le aliquote di tassazione nel rispetto dei livelli minimi comunitari e potranno conservare nelle legislazioni nazionali un’imposta unica (senza distinguere tra le due componenti). Di fatto la decisione di introdurre una carbon tax diventa opzionale in ciascuno Stato Membro.

Per riportare il sistema economico lungo un sentiero di sviluppo caratterizzato da un uso meno intensivo di fonti o emissioni più inquinanti, e considerando il quadro di evoluzione comunitario appena delineato, assume oggi una valenza strategica in Italia rimodulare gli strumenti fiscali esistenti e introdurre o potenziare le ‘green taxes’ o le ‘carbon taxes’.  Se coordinate con la revisione della direttiva europea sulla tassazione dei prodotti energetici orientata a limitare le emissioni di carbonio, le tasse ambientali potrebbero generare un «doppio dividendo»: dal lato ambientale indurrebbero la riduzione delle emissioni inquinanti; dal lato del prelievo, la destinazione del gettito in via prioritaria anche alla riduzione del carico sul lavoro nei settori guidati dalla ‘crescita verde’ potrebbe condurre ad una più equa distribuzione del carico tributario, con riflessi positivi sulla sostenibilità del prelievo sui cittadini e sulla qualità del tax mix.

In coerenza con le raccomandazioni della Commissione europea, l’articolo 15 della delega fiscale (approvata dal parlamento nel marzo 2014) prevede nuove forme di prelievo[5] finalizzate a preservare e a garantire l’equilibrio ambientale, assicurandone la compatibilità con lo sviluppo sostenibile in linea con la strategia ‘Europa 2020’ di riduzione delle emissioni inquinanti e il coordinamento con i principi della proposta di modifica della direttiva sui prodotti energetici attualmente in discussione in sede comunitaria.

In linea con questi indirizzi, la delega prevede nuove forme di fiscalità (green taxes) che, compatibilmente con i principi di neutralità fiscale, siano finalizzate ad incoraggiare comportamenti virtuosi in materia di tutela ambientale e a penalizzare, nel contempo, l’impiego di prodotti più dannosi. Tali nuove forme di tassazione comporteranno conseguentemente una revisione dell’attuale impianto normativo nazionale dell’accisa, anche in funzione del contenuto di carbonio.

Il gettito derivante dall’introduzione della carbon tax potrà essere destinato prioritariamente alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili nonché alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy.

I principi delineati nell’articolo 15 devono però essere coordinati con la profonda  revisione della normativa armonizzata in materia di tassazione dell’energia, attualmente in discussione in sede comunitaria. La delega conferita al governo in materia di fiscalità ambientale include infatti un esplicito coordinamento dei decreti delegati con il recepimento della modifica della direttiva sulla tassazione energetica.

Al fine di non penalizzare, sotto il profilo della competitività, le imprese italiane rispetto a quelle europee, l’entrata in vigore delle disposizioni riguardanti la fiscalità ambientale sarà condizionata alla data di recepimento della disciplina armonizzata decisa a livello europeo.

Efficienza energetica degli edifici

L’altra misura incentivante più rilevante è quella relativa all’efficienza energetica degli edifici. Con la Legge di Stabilità per il 2014 è stato prorogato “l’Ecobonus”, aumentando    l’agevolazione, che consiste in detrazioni dall’Irpef o dall’Ires, nella misura del 65% per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014. La detrazione è invece pari al 50% per le spese che saranno effettuate nel 2015. Per le parti comuni degli edifici condominiali, la detrazione sarà del 65% fino al 30 giugno 2015; poi per un anno ancora, fino al 30 giugno 2016, si abbasserà al 50%. Dal primo gennaio 2016, invece, per le abitazioni indipendenti (per i condomini dal primo luglio 2016) la detrazione sarà prevista nella misura del 36%.

In prospettiva si pone il tema della estensione a regime di tali agevolazioni, compatibilmente con il reperimento delle risorse finanziarie necessarie, ed in considerazione del carattere anticiclico della misura stessa sugli investimenti privati nel settore dell’edilizia.

Pacchetto 2020

Agli impegni assunti dal nostro Paese con la ratifica del protocollo di Kyoto e il recepimento nel nostro ordinamento del pacchetto clima-energia nel quadro della strategia Europa 2020, hanno fatto seguito interventi urgenti in favore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili.

Tali misure, pur avendo permesso sostanziali miglioramenti del profilo emissivo del Paese, necessitano di essere ulteriormente rafforzati per raggiungere gli obiettivi del cosiddetto Pacchetto 20-20-20. Nel contesto del controllo delle emissioni inquinanti si inserisce anche il sistema europeo di scambio dei permessi di inquinamento negoziabili – l’Emission Trading System – uno strumento armonizzato a livello europeo, in prospettiva in grado di contenere le emissioni di gas serra del settore termoelettrico e dei settori industriali, limitando le disparità di trattamento tra imprese dello stesso settore di paesi diversi. Si evidenzia che le misure già adottate, in corso o previste per aumentare la quota delle fonti di energia rinnovabile e il risparmio energetico dovrebbero consentire  il raggiungimento e in alcuni casi il superamento degli obiettivi nazionali fissati per l’Italia.

Dissesto idrogeologico ed uso del suolo: una economia verde che protegge il suo territorio

Il Paese deve valorizzare le straordinarie risorse di cui dispone: l’ambiente, il territorio, il patrimonio agroalimentare. Questo significa scommettere sulle opportunità offerte dall’economia verde e prestare un’attenzione costante e sempre maggiore alle fragilità che caratterizzano il nostro territorio, a partire dai rischi prodotti dal dissesto idrogeologico. Perciò il Governo con il PNR 2014 ha programmato le unità di missione per accelerare le procedure relative alla realizzazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico e la tutela del territorio con nuovi stanziamenti per 1,5 miliardi. Verrà effettuato il censimento del fabbisogno e realizzati gli interventi di bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN). E’ prevista anche la costituzione di un Fondo di 200 milioni per la delocalizzazione di impianti industriali pesanti siti nei centri densamente abitati. Semplificare le procedure per gli interventi di risanamento ambientale. Velocizzare gli interventi di riparazione e risanamento a cura dei responsabili del danno ambientale e nello stesso tempo promuovere gli investimenti di reindustrializzazione dei siti inquinati. Predisporre il regolamento per la tariffazione puntuale in materia di rifiuti. Ai fini della tutela del territorio molte disposizioni hanno riguardato il contenimento e il riuso del suolo volte a valorizzare il terreno non edificato e a promuovere l’attività agricola per puntare alla valorizzazione del suolo come risorsa da tutelare anche in un’ottica di prevenzione del rischio idrogeologico. In particolare, è stato introdotto, anche in linea con le raccomandazioni dell’UE, un nuovo approccio al riuso e alla rigenerazione edilizia del suolo edificato. Inoltre, sono stati finanziati interventi di rimozione e demolizione di immobili abusivi.

L'agricoltura

Il 2014 rappresenta un anno fondamentale per l’agricoltura grazie alle decisioni strategiche per la nuova programmazione 2014-2020 della PAC che non potranno che avere ripercussioni strutturali sulla competitività e sostenibilità del modello agricolo italiano. L’azione del Governo sarà volta a valorizzare e massimizzare il contributo del settore agricolo e agro alimentare alla crescita sostenibile del Paese. Al riguardo un primo forte contributo proverrà dall’attuazione degli interventi previsti nel Collegato Agricoltura alla legge di stabilità 2014.

In linea con gli obiettivi contenuti nel PNR e sopra richiamati, si pongono le misure adottate dal Consiglio dei Ministri del 13 giugno scorso. Nel dl, in via di pubblicazione, è contenuto un pacchetto di disposizioni finalizzate a rendere più efficiente l’intero sistema ambientale, quali ad esempio più risorse per l’efficienza energetica delle scuole, procedure più veloci e semplici contro il dissesto idrogeologico, uno strumento straordinario per gli Enti Locali consistente nella “requisizione in uso” per gli impianti di gestione dei rifiuti, norme per il trasporto sicuro degli idrocarburi per mare, una procedura semplificata per le bonifiche e la messa in sicurezza dei siti inquinati, meno costi e più qualificazione e trasparenza per le procedure di VIA, riduzione delle procedure di infrazione comunitarie in materia ambientale ed altre norme. Nella stessa direzione si muovono le importanti misure per il settore agricolo quali incentivi fiscali per l’affitto di terreni per giovani imprenditori agricoli e per l’assunzione di giovani, credito d’imposta per l’innovazione e lo sviluppo di prodotti e tecnologie, reti di impresa di produzione alimentare ed e-commerce dei prodotti alimentari, introduzione di sanzioni per le coltivazioni di OGM in Italia e altre disposizioni del più ampio pacchetto denominato “Campo Libero”.

Green growth: i fondi strutturali e di coesione a sostegno della strategia 2020 e del Governo

Contesto di riferimento

Gli accordi di partenariato conclusi fra la Commissione europea e singoli paesi dell'UE definiscono i piani delle autorità nazionali per utilizzare i finanziamenti erogati dai fondi strutturali e di investimento europei dal 2014 al 2020. Delineano gli obiettivi strategici e le priorità di investimento di ogni paese, collegandoli agli obiettivi generali della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per ogni fondo, dei programmi stabiliscono le priorità specifiche e gli obiettivi dei paesi dell'UE per l'intero periodo di programmazione in un determinato settore.

L’Accordo, inviato alla Commissione europea  il 22 aprile 2014, è il frutto di un processo di consultazione allargata a Ministeri, Regioni, Enti locali e partenariato economico sociale e dell’interlocuzione informale avviata con la Commissione.

L’Accordo di partenariato dell’Italia: allocazioni e indirizzo dei fondi strutturali per obiettivi tematici dei regolamenti (FESR- FSE)

Sono quattro gli obiettivi tematici che fanno riferimento allo sviluppo sostenibile e in particolare agli obiettivi in campo ambientale ed energetico del pacchetto 2020 (che sono poi gli stessi della strategia Europa 2020): sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori (OT4); promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi (OT5); tutelare l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse (OT6); promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete (OT7).

Per l’OT4 – Transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori, a beneficio del trasporto urbano sostenibile (per cui è possibile soddisfare evidenti fabbisogni di miglioramento della mobilità collettiva urbana coniugando l’azione con una efficace attenzione agli effetti ambientali e che insieme a risultati previsti per l’OT2, è diretto a contribuire all’investimento nel paradigma della cd. “comunità intelligente” (smart city) e dell’efficientamento energetico degli edifici pubblici in coerenza con gli indirizzi comunitari. Sono anche previste azioni esplicitamente mirate al risparmio energetico nelle imprese a complemento delle azioni per la riduzione degli impatti ambientali dei cicli produttivi previste in OT3. Vi si prefigura inoltre, in particolare per le regioni meno sviluppate, un intervento rilevante sulle cd. reti di distribuzione intelligente (smart grids) finalizzato non solo a una migliore gestione dei consumi, ma anche alla razionalizzazione d’uso effettivo delle fonti diffuse di energia rinnovabile accresciutesi fortemente in produzione negli ultimi anni soprattutto nel Mezzogiorno.

Una relativamente più modesta quota di risorse complessive del FESR, comunque abbastanza significativa per le regioni meno sviluppate, è appostata sull’OT5 - Promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi, per rafforzare il concomitante impegno del FEASR su questo OT. Il FESR interviene soprattutto in quanto collegato alla strategia nazionale per le aree interne e per alcune altre operazioni territorialmente delimitate, da considerarsi quindi come dirette solo per interventi mirati, lasciando, comunque alla programmazione nazionale del FSC un intervento più ampio, soprattutto per quanto riguarda il rischio idrogeologico.

L’OT6 – Tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse contiene un impegno significativo sui temi culturali e ambientali finalizzato a interventi di tutela. I risultati attesi comprendono anche l’ottimizzazione della gestione dei rifiuti urbani,  secondo la gerarchia comunitaria, restituzione all'uso produttivo di aree inquinate, miglioramento del servizio idrico integrato per usi civili e riduzione delle perdite di rete degli acquedotti, mantenimento e miglioramento della qualità dei corpi idrici attraverso la diminuzione dei prelievi e dei carichi inquinanti, l'efficientamento degli usi nei vari settori di impiego e il miglioramento e/o rispristino graduale della capacità di ricarica delle falde acquifere, e un contributo per arrestare la perdita di biodiversità terrestre e marina, anche legata al paesaggio rurale e mantenendo e ripristinando i servizi ecosistemici.

L’OT7 – Promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete - si tratta di perseguire obiettivi generali di riequilibrio modale a vantaggio di vettori meno impattanti, mitigazione degli impatti ambientali, aumento della sicurezza e miglioramento della qualità della vita, attraverso obiettivi specifici quali il miglioramento dell’offerta ferroviaria e dei servizi offerti (in termini di accessibilità, efficacia ed efficienza), la continuità territoriale interna e il rafforzamento dei sistemi portuali e logistici.

Orientamento e integrazione della politica di sviluppo rurale nella strategia generale (FEASR)

L’attenzione delle risorse FEASR è rivolta anche alla sostenibilità ambientale delle attività agricole e più in generale a tutte le variabili ambientali cui è indirizzata la strategia di Europa 2020, in stretta connessione con le altre politiche: di qui il peso rilevante assegnato agli OT4, OT5 e OT6 che insieme assorbono il 38,82% delle risorse complessive.

Una stima molto preliminare del contributo dei fondi europei agli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici è contenuta nell’accordo di partenariato inviato alla Commissione ad aprile. Per il FESR il contributo è stimabile in via del tutto preliminare in 4,6 miliardi di euro complessivamente. Per il contributo del FEASR è stimabile in via preliminare in 4,7 miliardi di euro complessivamente.

La stima preliminare è fondata sulla proposta strategica dell’Italia e sulla allocazione indicativa delle risorse finanziarie per Obiettivo Tematico e Risultato atteso e tiene conto della metodologia descritta nel Regolamento di esecuzione (UE) n. 215/2014 della Commissione Europea che stabilisce norme di attuazione del Regolamento n.1303/2013.

Fondo Sviluppo e Coesione

Come è noto, il Fondo sviluppo e coesione costituisce lo strumento strategico e operativo per dare unità programmatica e finanziaria agli interventi aggiuntivi, volti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese. Si articola in un arco temporale settennale, in coincidenza con la programmazione dei Fondi strutturali dell’Unione Europea, garantendo l’unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi strutturali europei.

Programmazione 2014 – 2020

Ai sensi dell’art. 1, comma 6 e ss. della L. n. 147/2013 (LS 2014), sono destinati alla nuova programmazione 54,810 miliardi di euro, di cui l’80%, pari a 43,848 miliardi di euro, da iscriversi in bilancio.

Sono stati individuati i seguenti 11 obiettivi tematici:

1 – Ricerca, sviluppo tecnologico ed innovazione;

2 – Agenda digitale;

3 – Competitività dei sistemi produttivi;

4 – Energia sostenibile e qualità della vita;

5 – Clima e rischi ambientali;

6 – Tutela dell’ambiente e valorizzazione delle risorse culturali ed ambientali;

7 – Mobilità sostenibile di persone e merci;

8 – Occupazione;

9 – Inclusione sociale e lotta alla povertà;

10 – Istruzione e formazione;

11 – Capacità istituzionale ed amministrativa.

Il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (DPS) ha definito un’ipotesi di ripartizione delle risorse finanziarie, in base alla quale, in particolare si evidenzia il positivo impatto sulla strategia della sostenibilità dei seguenti obiettivi:

Mobilità sostenibile di persone e merci – Quasi la metà delle risorse complessive (circa il 45%) è destinata a tale obiettivo, per un importo pari a 19,53 miliardi, dei quali 9,75 miliardi dedicati alle infrastrutture ferroviarie.

Clima e rischi ambientali – Circa il 12% delle risorse, per un importo pari a 5 miliardi, è stata attribuita a tale obiettivo, nell’ambito del quale sono previsti interventi per la messa in sicurezza del territorio e per il dissesto idrogeologico.

A valere su altri obiettivi tematici, sarà possibile programmare misure incidenti sullo sviluppo dell’economia verde. Si segnalano in particolare gli obiettivi relativi alla ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, agenda digitale, competitività dei sistemi produttivi, energia sostenibile e qualità della vita, tutela dell’ambiente e valorizzazione delle risorse culturali ed ambientali.

In conclusione, sia la nuova programmazione dei fondi strutturali che quella del fondo di sviluppo e coesione risultano fortemente orientate a favorire l’evoluzione del nostro modello di sviluppo nella direzione della sostenibilità ambientale.

Per il futuro: il “Pacchetto 2030”

Nel corso del 2014 è stato avviato il negoziato europeo che porterà alla definizione degli obiettivi per il periodo 2020-2030delle relative proposte legislative (Pacchetto 2030 – cfr. nota di background). Le conclusioni del Consiglio Europeo di marzo 2014 (alle quali ha fornito un contributo anche l’Ecofin con la sua discussione l’11 marzo) hanno stabilito che entro ottobre 2014, durante il semestre di Presidenza italiana, dovrà essere raggiunto un accordo tra i Paesi membri sugli obiettivi del Pacchetto 2030. In particolare, dovrà essere definito il numero dei target da assegnare ai singoli Stati membri e il livello di ambizione degli stessi target sia a livello UE che a livello nazionale.

Al fine di giungere ad un accordo entro i tempi previsti, la Commissione europea (CE) ha definito una roadmap di avvicinamento al Consiglio europeo di ottobre 2014 prevedendo due incontri bilaterali a livello di sherpa (il 19 giugno e a settembre) a cui, anche per volontà della Presidenza italiana, sono affiancati alcuni incontri delle formazioni consiliari che sono più coinvolte sul tema. A questo proposito in occasione dell’Ecofin di ottobre è prevista una discussione sulle questioni più strettamente economiche che discendono dagli obiettivi per il 2030. Dati i tempi ristretti per la chiusura del negoziato le amministrazioni coinvolte sul tema, il MISE, il MATTM, il MEF e la PdC in particolare, hanno predisposto una serie di incontri tecnici presso la PdC sull’argomento. Gli argomenti di nostro diretto interesse sono:

1)         Riduzione delle emissioni di gas serra

Burden sharing criteria. I criteri che dovranno essere utilizzati per ripartire tra gli SM l’obiettivo da assegnare ai settori non-ETS  sono uno dei punti qualificanti e più rilevanti del Pacchetto 2030. La responsabilità per il raggiungimento di questo obiettivo ricade sui singoli SM. A tal fine gli SM dovranno predisporre politiche di intervento (incentivi, fondi ad hoc, crediti d’imposta etc.) che avranno delle implicazioni sulle finanze pubbliche. Il criterio cost-efficiency, che prevede che gli obiettivi siano assegnati sulla base della minimizzazione dei costi di abbattimento delle emissioni, proposto dalla CE nell’impact assessment costituirà il punto di partenza del negoziato, ma potrebbe non essere il punto di caduta. Si potrebbe sostenere l’uso di altri criteri come l’impiego di criteri ambientali (GHG pro-capite; GHG/GDP), in cui l’Italia ha buone performance, insieme a criteri economici che tengano conto del contesto economico e della capacità di spesa/investimento degli SM (ad esempio, il livello del debito pubblico). In sostanza si potrebbe sostenere un indice composito che tenga conto sia del criterio del cost-efficiency che degli indicatori ambientali-economici.

2)         Emissions Trading System (EU ETS)

Si ritiene che l’ETS, quale strumento incentivante di azioni di riduzione delle emissioni al più basso costo, debba svolgere un ruolo centrale nel Pacchetto 2030.  A tal fine è auspicabile una riforma strutturale del sistema ETS per rafforzare la sua capacità di incentivare investimenti di medio lungo periodo in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni UE. Tale riforma dovrà essere efficace e definitiva evitando che in futuro si debba intervenire in modo emergenziale (come è stato fatto recentemente) a seguito dell’andamento del prezzo dei permessi negoziabili che si registra nel mercato.

3)         Rinnovabili

La CE e la maggioranza degli SM (tra cui l’Italia) sono orientati a non definire al 2030 obiettivi vincolanti per gli SM. Il raggiungimento dell’obiettivo fissato a livello UE richiederà comunque uno sforzo da parte dei paesi membri. Grazie agli sforzi passati per l’Italia le azioni future saranno incrementali e potrebbero essere focalizzate sulle tecnologie più innovative, rivolte anche al settore termico.

4)         Efficienza Energetica

L’EE può rappresentare uno snodo strategico per il raggiungimento di un accordo sul Pacchetto 2030 ed ha significative e positive ricadute economiche . Allo stesso tempo la definizione di un target nazionale molto ambizioso potrebbe avere rilevanti impatti sulle finanze pubbliche nel caso in cui debbano essere finanziate misure che consentano di raggiungere l’obiettivo assegnato. Si è in attesa di ulteriori approfondimenti in merito da parte della Commissione. In particolare, l’attuale impact assessment è basata esclusivamente sull’obiettivo di riduzione delle emissioni e conseguentemente anche le stime dei costi e degli investimenti sono basate sul solo obiettivo di riduzione ignorando l’impatto che l’introduzione di un obiettivo di efficienza energetica può avere sul sistema economico. In tutti i casi sottolineamo l’opportunità di ridurre al minimo la sovrapposizione tra strumenti. Come dimostrato dalla letteratura economica, un obiettivo di efficienza energetica ha un effetto depressivo sui prezzi dei permessi di emissione riducendo l’efficacia dell’ETS.

Conclusioni: la presidenza italiana dell’Unione

Durante l’importante impegno della Presidenza di turno dell’Unione europea, che l’Italia sarà chiamata a svolgere a breve, avremo a disposizione una preziosa occasione per affrontare in maniera condivisa e coerente i temi della green economy, incluso quello  e, in particolare, della fiscalità ambientale. Altri temi prioritari della Presidenza italiana riguarderanno il pacchetto clima energia per il post 2020 (con la riforma del sistema europeo di emission trading (ETS) a sostegno della riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra quale elemento qualificante); la maggiore integrazione delle priorità ambientali nel semestre europeo in un’ottica di promuovere le sinergie con la crescita economica; infine, la protezione della biodiversità e dei servizi resi dal sistema ecologico che occupa un ruolo di primo piano nelle priorità ambientali della Presidenza italiana. Dobbiamo continuare a lavorare assieme per metterla a frutto.

Vi ringrazio per l’attenzione.

 

[1] La proposta di modifica della direttiva 2003/96/CE, presentata dalla Commissione agli Stati membri il 13 aprile  2011 ( comunicazione COM (2011) 169 della Commissione) prevede di scindere la soglia minima di tassazione, fissata a livello comunitario, in due distinte componenti, uno legata alla componente relativa alle emissioni di CO2 e l’altra relativo alla componente energetica, in modo tale che i livelli di imposizione riflettano sia le emissioni di CO2 sia il potere calorifico netto in modo uniforme per le diverse fonti di energia.

[2] E’ vero tuttavia che il percorso non è stato sempre lineare e molti ostacoli si sono frapposti al recepimento delle proposte comunitarie nelle normative nazionali: la significativa divergenza nei regimi e nei livelli effettivi di tassazione ambientale tra gli Stati membri riflette necessarie mediazioni politiche, tra crescenti esigenze di armonizzazione comunitarie da un lato, e difesa della sovranità nazionale, dall’altro. Risale al 1992 la prima proposta di direttiva su un'imposta sulle emissioni di biossido di carbonio e sull'energia che però non riuscì a raccogliere il necessario consenso unanime da parte degli Stati Membri. Più di dieci anni dopo, nel 2003, fu emanata la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità che ristrutturò il quadro comunitario e istituì alcuni livelli minimi di imposizione (per carburanti ad uso trasporto, riscaldamento e elettricità). La direttiva era assai meno ambiziosa rispetto alle precedenti proposte di carbon tax e sostanzialmente volta ad ampliare, armonizzare e aumentare gradualmente i livelli minimi delle accise applicabili ai prodotti energetici. Ma allo stesso tempo prevedeva, oltre ad aliquote relativamente inferiori a quelle già applicate in molti Stati membri, un gran numero di esenzioni, differimenti e regimi speciali.

[3] Per l’Italia, il vincolo di concatenazione delle aliquote avrebbe comportato entro il 2018 effetti di rilievo in termini di adeguamento al rialzo delle accise sul gasolio (attualmente il gasolio è meno tassato) e di sensibile aumento del gpl in termini di accise sulla benzina.

[4] Molti settori energy-intensive sono oggi esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva. Estendere a tutti i settori economici gli strumenti per internalizzare i costi dell’inquinamento ed eliminare vuoti normativi e sovrapposizioni tra l’attuale sistema di tassazione dei prodotti energetici e l’EU ETS rappresenta un ulteriore importante passo nella direzione dell’efficiente funzionamento del mercato interno.

 

[5] L’ampia delega conferita al governo include la rimodulazione delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo, la destinazione delle maggiori entrate prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, e al finanziamento delle tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione del finanziamento dei sussidi alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

 

Parole chiave: green economy