28 Dicembre 2016


Giustizia a orologeria? Lotta alla corruzione sia priorità di tutti

I rapporti tra politica e giustizia si risolveranno se tutti, anche i partiti, assumeranno come prioritaria la lotta alla corruzione e al malaffar. Lo afferma il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini in questa intervista al Sole 24 Ore, a proposito delle polemiche sulla “giustizia a orologeria” riesplose dopo le vicende in cui sono coinvolti i sindaci di Milano e Roma e il ministro Lotti. Secondo il numero due di Palazzo dei Marescialli «la semplice iscrizione nel registro degli indagati o l'informazione di garanzia non possono e non devono condizionare la vita delle istituzioni ma i partiti devono farsi carico, a prescindere dalle indagini penali, di allontanare le persone che violano i princìpi etici».

Vicepresidente Legnini, il ministro Orlando ha detto no ad altre proroghe dell’età pensionabile dei magistrati, ma propone l’uscita dal servizio alla fine dell’anno solare in cui si compiono i 70 anni. È una misura adeguata per far fronte agli oltre 1000 vuoti nell’organico dei magistrati che spetta al Csm riempire?

Nessuna misura da sola è nell’immediato idonea a risolvere i gravi problemi di organico. Occorre agire sul trattenimento in servizio e sull’assunzione straordinaria di giovani magistrati. Sull’età pensionabile è nota la posizione del Csm sui 72 anni a regime, ma spetta a Governo e Parlamento la decisione, che mi auguro dia certezza e stabilità.

Il caso del sindaco di Milano Sala ha riproposto il tema del rapporto Procure della Repubblica/Procure generali di Corte d’appello, con le seconde che controllano il lavoro delle prime, e, in caso di richiesta di archiviazione, avocano le indagini non solo in caso di inerzia (come prevede la legge) ma anche di dissenso nel merito. Quest’estensione del potere di avocazione - che ha trovato a Milano, con il Pg Roberto Alfonso, già due applicazioni – nasce da un’interpretazione contestata da molti Pm. Le chiedo: così non si va verso una fortissima gerarchizzazione dell’ufficio di Procura?

Non posso parlare del caso del sindaco Sala, non conoscendo il provvedimento di avocazione del Pg di Milano. In generale, sono contrario alla fortissima gerarchizzazione delle Procure di cui lei parla. L’avocazione è, come noto, limitata a casi eccezionali, che quindi devono essere di stretta interpretazione. La Procura generale della Cassazione ha ritenuto che il potere di avocazione, oltre al caso di inerzia, possa estendersi al mancato esercizio dell’azione penale ma l’estensione di tale potere al merito delle conclusioni del Pm rimane tuttora materia molto delicata e controversa. Guardo, invece, con favore al rafforzamento dei poteri organizzativi e di controllo dei capi delle Procure e di quelli di coordinamento dei Procuratori generali previsti nel nostro ordinamento. E ciò in funzione del corretto e uniforme esercizio dell’azione penale e del rispetto delle norme sul giusto processo. Il caso delle circolari di importanti Procuratori sulle intercettazioni telefoniche – poi assunte a riferimento per le linee guida emanate qualche mese fa dal Csm – è emblematico. In sintesi, migliore organizzazione delle Procure e rispetto del principio di autonomia di ciascun Pm. È una delle più complesse materie di cui ci stiamo occupando nell’elaborazione di una nuova circolare sulle Procure.

Il caso Sala sarebbe la “prova” di una contiguità della Procura di Milano con la politica e dunque la smentita del giudizio lusinghiero del Csm sulla gestione efficiente, efficace e indipendente di quell’Ufficio. È così?

Confermo il giudizio lusinghiero del Csm sull’attività della Procura di Milano. Nessuno si è mai fatto carico di fornirci un sia pur indiretto elemento sulla presunta contiguità di quell’importante ufficio con la politica. A meno che non si vogliano confondere dissensi su legittime scelte organizzative con illazioni che respingiamo con fermezza.

Nel Ddl sul processo penale c’è una norma (contestata dall’Anm) che prevede l’avocazione automatica della Procura generale se il Pm non esercita l’azione penale entro 3 mesi dalla fine delle indagini. Tutto spinge verso una gerarchizzazione...

Mi auguro che il Ddl sia approvato al più presto poichè contiene molte norme che consentiranno un processo più celere ed equo. Quanto alla norma sull’avocazione, non la condivido e spero sia espunta dal provvedimento.

Giustizia a orologeria: se ne riparla dopo i casi dei sindaci di Roma e Milano e la notizia del ministro Lotti indagato. I problemi tra politica e giustizia non sono risolti. La questione morale si ripropone più pressante che ai tempi di Tangentopoli ma la politica, come allora, reagisce con insofferenza e desiderio di rivalsa, salvo poi delegare sempre più spesso alla magistratura (in funzione delle iniziative giudiziarie) scelte di natura politica o etica. Tutto cambia ma niente cambia?

Il tempo delle deleghe dev’essere superato. I problemi antichi e recenti tra politica e giustizia possono avviarsi a soluzione se tutti, anche i partiti, assumeranno come prioritaria la lotta alla corruzione e al malaffare. La semplice iscrizione nel registro degli indagati o l’informazione di garanzia non possono e non devono condizionare la vita delle istituzioni ma i partiti devono farsi carico, a prescindere dalle indagini penali, di allontanare le persone che violano i princìpi etici e i requisiti minimi previsti dall’articolo 54 della Costituzione: rispetto della legge, disciplina e onore nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Le frequenti archiviazioni e assoluzioni e il coinvolgimento in attività di indagine di rappresentanti di tutte le forze politiche consentono, più che nel passato, di restituire senso pieno al principio di presunzione di innocenza. E il rispetto della legge e dei princìpi costituzionali lo devono garantire anche i magistrati, ad esempio evitando di far conoscere prima ai giornali e poi agli interessati atti di indagine coperti da segreto, rischiando così di ledere la dignità e l’onore delle persone. Credo e spero che un cambiamento profondo nella direzione del rafforzamento dello Stato di diritto sia già in atto e possa rafforzarsi anche con l’aiuto di tutti i mezzi di informazione.

Sulla scelta dei capi degli uffici giudiziari, in particolare sul peso da dare al “fuori ruolo” – il periodo trascorso da un magistrato al servizio di ministeri, organismi internazionali ecc. –, il Csm è ondivago. Dalla scelta di Lo Voi alla Procura di Palermo a quella di Greco a Milano, passando per Francesco Testa alla Procura di Chieti, non sembra esserci una linea coerente, e si prospettano situazioni analoghe, per esempio quando bisognerà scegliere il Procuratore di Napoli, posto per il quale corre anche Gianni Melillo, capo di gabinetto del ministro Orlando. Non teme una caduta di credibilità?

Sulle nomine, come su molte altre riforme approvate e in itinere, il Csm sta affermando una forte credibilità istituzionale. Nel 2016 abbiamo approvato dopo 30 anni la più importante delle riforme, quella del Regolamento per il funzionamento del Consiglio, valorizzando trasparenza ed efficienza, abbiamo prodotto un enorme lavoro sull’organizzazione e altre importanti iniziative sono avviate. Registriamo un diffuso consenso negli Uffici giudiziari e tra gli operatori del diritto su gran parte delle circa 520 nomine, tra cui moltissime donne, disposte nei primi due anni di attività. Di queste, solo 14 provengono direttamente da esperienze fuori ruolo. Una parte della magistratura spesso ingigantisce temi che sono molto autoreferenziali e si dimostra affezionata al criterio dell’anzianità, da tempo abolito. Mi chiedo come si possa ritenere, come fanno alcuni critici delle nomine che lei ha citato, che esperienze internazionali presso organismi come Eurojust o la Rappresentanza permanente all’Onu che si occupano di lotta alla corruzione, criminalità, narcotraffico, terrorismo, o presso il Csm o il ministero della Giustizia su organizzazione giudiziaria, esecuzione della pena, attività legislativa, non debbano rilevare nella nomina dei dirigenti. La verità è che sui fuori ruolo abbiamo discusso a fondo e assunto una decisione chiara e unanime nel Testo unico riformato: le esperienze che accrescono le capacità organizzative e la cultura della giurisdizione vengono valutate positivamente, le altre no. Ci siamo attenuti con coerenza e rigore a tale criterio. Sfido chiunque a dimostrare il contrario.

Nel bilancio preventivo del Csm per il 2017 è stata stanziata una somma per il trasferimento nell’attuale sede del Cnel, a Villa Lubin. Il costo complessivo (trasloco compreso) è di circa 20 milioni: vale davvero la spesa? Quali sono il senso e il vantaggio di questo trasferimento?

Si tratta di un’ipotesi di virtuosa razionalizzazione e valorizzazione dell’uso del patrimonio pubblico trattandosi di complessi entrambi demaniali. La prestigiosa sede del Cnel è ampiamente sottoutilizzata e gli immobili necessitano di opere di consolidamento che siamo disponibili a realizzare. Le tre palazzine in uso al Csm possono essere riutilizzate per finalità pubbliche, con un risparmio di fitti passivi a carico del bilancio dello Stato che l’Agenzia del Demanio ha stimato in 2 milioni l’anno. Dopo aver acquisito il consenso del Demanio, sarà il plenum a pronunciarsi. Se condividerà la proposta, l’operazione si farà, altrimenti resteremo nell’attuale sede tenendoci gli antichi e recenti problemi di funzionalità e indisponibilità di altri spazi di cui abbiamo forte necessità.

Il Csm ha un “tesoretto” di circa 25 milioni (compresi i 20 di cui sopra) gestito, da gennaio 2016, dalla Banca popolare di Bari, che però naviga in pessime acque: il bilancio 2015 si è chiuso con 297 milioni di perdite, in pochi mesi le azioni hanno perso il 21% del valore, Bpb è finita nel mirino, nel 2015, della Procura di Ferrara e, a marzo 2016, di quella di Bari, che ha aperto un fascicolo per ostacolo alle funzioni di vigilanza; inoltre, l’attuazione della norma varata dal governo Renzi per la trasformazione delle Popolari in Spa entro fine 2016 è stata sospesa in attesa della Consulta sui sospetti di incostituzionalità. Molti, anche a palazzo dei Marescialli, sono preoccupati del fallimento della Banca. Lei è preoccupato?

La Banca ha vinto un anno fa una gara europea ed è titolare di un contratto di tesoreria con il Csm come con diverse altre istituzioni pubbliche. La valutazione sulla sua solidità spetta agli Organi di Vigilanza bancaria e dalle informazioni assunte i rischi di insolvenza di cui lei parla non ci risultano. Non si può risolvere un contratto sulla base di articoli di stampa e la somma che lei chiama tesoretto, che altro non è che il frutto di risparmi di gestione da diversi anni a questa parte, è in gran parte destinata a investimenti.