08 Ottobre 2015


Giudice amministrativo e CSM, il discorso del Vice Presidente Legnini

L'intervento al convegno su “Il sindacato del giudice amministrativo sulle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura”

Ringrazio il Consigliere Professor Balduzzi che ha fortemente voluto l’organizzazione di questa giornata di studio. La grande rilevanza dei temi trattati, l’autorevole caratura degli interventori e dei relatori, consente di prendere in esame uno degli snodi tra i più delicati, e non da oggi, per l’attività del Consiglio Superiore: quello delle tecniche decisorie e degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa sulle delibere dell’organo di governo autonomo della magistratura, in special modo di quelle aventi ad oggetto il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi.

Rivolgo un sentito ringraziamento, in particolare, ai professori Federico Sorrentino e Massimo Luciani che hanno accettato di cimentarsi con due relazioni di particolare complessità ed interesse, così da consentire poi al presidente Berruti, nonché al Presidente Patroni Griffi e all’Avvocato dello Stato Sandulli di svolgere le loro considerazioni di merito da diverse prospettive e sensibilità: della Suprema Corte di cassazione, quella del giudice speciale e della difesa erariale.

Nel ringraziare per la loro partecipazione i rappresentanti delle supreme magistrature ordinaria e speciale, colgo l’opportunità per formulare un forte auspicio per una intensa e sistematica collaborazione tra le Corti, oggi ancor più necessario per coltivare un confronto aperto con l’istituzione consiliare, per superare le residue riguardanti il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del Consiglio per riflettere su ulteriori temi relativi alle funzioni di autogoverno. Mi limito, nel formulare il mio indirizzo di saluto, a prospettare un sintetico e certo non esaustivo elenco dei fronti più problematici e complessi di questa attività di controllo giurisdizionale.

Richiamo, innanzitutto, la risalente e nota pronuncia numero 44 del 1968 con la quale la Corte Costituzionale si pronunciò sul se “il buon adempimento della funzione strumentale affidata al Consiglio Superiore della Magistratura, esiga la sua sottrazione ad ogni interferenza, non solo dei poteri attivi (ed in ispecie di quello esecutivo, cui in passato la magistratura era stata collegata, ed a volte anche gerarchicamente subordinata, e rispetto al quale quindi l'esigenza di autonomia si era tradizionalmente fatta valere), ma anche del potere giurisdizionale, in quanto dovesse risultare che, se pure limitata all'esercizio del solo controllo di legittimità, sia tale da potere, indirettamente, pregiudicare l'esercizio imparziale dell'amministrazione della giustizia”.

E in quella occasione, la Corte, pervenuta alla risposta negativa, ritenne sostanzialmente di confermare la legittimità di sottoporre al sindacato del giudice amministrativo i provvedimenti del Consiglio Superiore sulla base dell’assorbente esigenza, discendente dall’articolo 113 della Costituzione, di offrire tutela giurisdizionale ai provvedimenti di natura amministrativa del Consiglio che incidono su interessi legittimi e diritti soggettivi.

Quella che ne seguì fu dunque la storia di una progressiva evoluzione del sindacato del giudice amministrativo nelle cui mani si è andata via via ampliando e concentrando una non lieve capacità di incidenza sulle decisioni consiliari fino ad investire la vita stessa degli uffici giudiziari.

Da subito e vieppiù con l’evoluzione degli indirizzi giurisprudenziali, è apparso chiaro che la giurisdizione amministrativa sui provvedimenti consiliari si situa ad un autentico crocevia dell’ordinamento, fino ad incidere indirettamente sulla stessa identità del Consiglio Superiore della Magistratura, e, quindi, sui confini e gli ambiti della sua posizione costituzionale.

Già la Commissione Paladin, nel 1992, lo definì “organo di garanzia creato in funzione dell’indipendenza dei singoli magistrati ordinari e dell’autonomia del loro complessivo ordine rispetto agli altri poteri dello Stato”.

Ed è proprio il complesso di queste peculiari funzioni costituzionali demandate al Consiglio Superiore a collocare il sindacato del giudice speciale su un crinale del tutto peculiare.

Come ampiamente noto, il centro nevralgico su cui il giudizio amministrativo pesa non poco risiede nell’istituto della motivazione dei provvedimenti di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi. Al riguardo, la dottrina ha posto in rilievo la peculiarità di un giudizio, quello riservato al Plenum consiliare, che va ben oltre lo schema classico del provvedimento amministrativo, poichè si fonda sulla valutazione di una pluralità di motivazioni coincidenti con le proposte votate dalla Commissione e portate allo scrutinio dell’assemblea plenaria del Consiglio, che decide con una votazione spesso a maggioranza.

Si tratta, dunque, di una modalità di formazione della volontà dell’organo, che corrisponde allo schema procedurale di cui all’articolo 22 del Regolamento Interno del CSM, che è destinato ad incidere, fino a modificarlo, sulla logica e sui parametri classici del giudizio amministrativo rendendoli un unicum rispetto agli altri ambiti di giurisdizione amministrativa siano essi esclusivi che generali di legittimità.

Vi è dunque un forte legame tra l’autonomia valutativa del Consiglio Superiore radicata negli articoli 104 e 105 della Costituzione, la disciplina regolamentare interna chiamata a coniugare principio democratico e obbligo di motivazione, e i peculiari margini del giudizio amministrativo sul conferimento degli incarichi direttivi.

Il che offre l’occasione per ribadire, una volta ancora, l’assoluto rilievo del confronto odierno. I preziosi contributi che perverranno dagli eminenti interventori e relatori sono destinati, oltre che ad esaminare i riflessi della recente evoluzione della giurisprudenza amministrativa e della Suprema Corte di Cassazione cui farò cenno a breve, a fornire cruciali elementi in vista della revisione del Regolamento Interno; alla riscrittura regolamentare sta provvedendo la Seconda Commissione consiliare, adempiendo così ad uno dei propositi più rilevanti del percorso di riforma interna che contraddistinge questa consiliatura.

Due sono, come è noto, le linee giurisprudenziali generali che storicamente si sono contese il campo. Con la prima, la giurisprudenza amministrativa, mediante lo scrutinio di ragionevolezza del provvedimento di nomina, passando certo per la motivazione dell’atto collegiale, si è spinta a lambire i profili di merito della scelta compiuta del Consiglio Superiore. Si è dunque effettuato, in tali casi, un sindacato di legittimità tanto incisivo da tradursi in un’indiretta valutazione sull’opportunità e la convenienza delle determinazioni consiliari.

Il secondo orientamento del supremo giudice amministrativo può dirsi più astretto ad un controllo esterno della razionalità e non contradditorietà della motivazione, così da salvaguardare, in buona sostanza, un’area di apprezzamento puro dell’organo di autogoverno sul singolo magistrato preposto.

Proprio in queste ultime settimane, tuttavia, gli orientamenti giurisprudenziali risultano significativamente modificati dalle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di Cassazione. Infatti, con la recentissima pronuncia 22 settembre 2015, n. 19787, la Suprema Corte ha ribadito la cruciale esigenza di ben temperare il sindacato sulle delibere consiliari evitando il rischio “di operare direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera apprezzandone la ragionevolezza”. Si tratta di un principio di diritto assai rilevante che rinviene un eccesso di potere giurisdizionale laddove il giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera di merito riservata alla P.A., compie una diretta e concreta valutazione di opportunità.

Con la certezza del non travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, che tale pronuncia contribuisce a consolidare, il Consiglio e l’ordine giudiziario tutto possono così cogliere, nelle pronunce del giudice amministrativo, una garanzia e non certo una minaccia o un affievolimento della propria funzione e del ruolo che la Costituzione assegna al C.S.M.. In tal modo, a ciascuno sarà più agevole affermare un orientamento culturale che conduca ad un maggior rispetto e fiducia nella funzione garantista e di eterolimitazione insita nel controllo affidato alla giurisdizione speciale. E ciò soprattutto se si considera che le deliberazioni consiliari, le dinamiche di istruttoria, discussione e votazione non sempre possono essere contenute nelle logiche tradizionali del buon andamento dell’amministrazione della Giustizia di cui all’articolo 97 della Costituzione. Anzi affiorano, non di rado, percorsi motivazionali che a stento contengono l’emergere delle diverse visioni dell’associazionismo rappresentate in Consiglio destinate ad incidere sull’esito delle valutazioni e giudizi sulle scelte conclusive.

All’evoluzione positiva della giurisprudenza, nei termini che ho solo richiamato e che voi affronterete con ampiezza ed argomenti ben più approfonditi, si aggiunge un ulteriore dato positivo.

Un sommario studio dei flussi e degli esiti del contenzioso, prodotti dagli uffici del Consiglio, lascia intravedere, negli ultimi anni, un progressivo decrescere della propensione al gravame sulle delibere di nomina dei dirigenti in magistratura. Le ragioni di questa riduzione possono essere varie e non tutte verificabili ma certo è che il numero dei ricorsi è andato significativamente riducendosi anche nell’ultimo anno così come anche, del pari, in decrescita è la percentuale delle sentenze di annullamento.

Inoltre, siamo a poche settimane dalla approvazione ed alla vigilia della prima applicazione della innovativa novella del Testo unico per il conferimento degli incarichi direttivi che il Plenum del C.S.M. ha approvato sul finire dell’estate appena trascorsa. L’intento perseguito – e a mio giudizio raggiunto – è stato quello di delineare in maniera più netta i criteri di valutazione, le esperienze da premiare, i percorsi di carriera, così da rendere anche più prevedibile e certa la valutazione comparativa tra gli aspiranti, tutelando i ragionevoli affidamenti e le prospettive di evoluzione della carriera di tutti gli appartenenti all’ordine giudiziario.

Le conseguenze di questo rilevante mutamento della disciplina interna in materia di valutazioni per i provvedimenti di nomina dovrebbero risultare benefiche ed è ragionevole attendersi che la novella del Testo unico sulla dirigenza in magistratura possa contribuire, almeno indirettamente, anche a meglio definire i limiti di penetrazione del giudice speciale sull’area della discrezionalità amministrativa. La discrezionalità consiliare, infatti, dovrebbe risultare ora più nitidamente delimitata e, quindi, anche meglio identificabile rispetto al nocciolo duro degli apprezzamenti di merito di cui pure – su questo ritengo si possa concordare alla luce proprio dell’articolo 105 della Costituzione – il Consiglio dovrebbe rimanere depositario in chiave di salvaguardia della funzione di supporto all’effettività dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura.

Non a caso la riforma del Testo Unico, in definitiva, si propone di aprire la strada a una giurisprudenza amministrativa ancor meno ondivaga e più solida, favorendone gli sviluppi armonici attraverso l’enucleazione di una griglia determinata di indici specifici per la valutazione dell’attitudine e del merito individuale per il conferimento degli incarichi direttivi, anche ritagliando presupposti e qualità che delineano il profilo più adeguato a seconda del tipo di ufficio messo a concorso.

La panoramica delle questioni che, di recente, hanno impegnato la giurisdizione amministrativa sugli atti consiliari, non sarebbe completa se non accennassi anche al fatto che il Consiglio di Stato, prossimamente, si troverà a decidere sull’applicabilità dell’articolo 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 per i prestatori di lavoro appartenenti al personale amministrativo non magistratuale del C.S.M. qualificandoli, quindi, alla stregua di dipendenti di una pubblica amministrazione di diritto comune. Non rileva qui solo occuparsi delle conseguenze applicative che ne discenderebbero e cioè l’attivazione delle procedure di mobilità orizzontale per l’assunzione del personale prima di procedere al reclutamento tramite concorso pubblico. Ciò che più interessa è che, tale questione assume portata più ampia perché potenzialmente può tornare ad incidere sulla qualificazione del Consiglio come pubblica amministrazione e quindi all’eventuale applicazione generalizzata della disciplina giuslavoristica generale per i suoi dipendenti. Ne conseguirebbero ulteriori effetti anche in ordine all’applicazione di un vasto numero di disposizioni vincolistiche imposte alle pubbliche amministrazioni e difficilmente adattabili ad un organo di rilevanza costituzionale.

Una questione simile, peraltro, concerne i dubbi sull’obbligo di presentazione alla Corte dei Conti della rendicontazione periodica ai sensi dell’articolo 44 del R.D. 1214 del 1934. Anche in tale ambito, infatti, il problema sotteso riguarda la natura del Consiglio Superiore della Magistratura di fronte alla vis expansiva dell’articolo 103, secondo comma, della Costituzione il quale fonda la giurisdizione della Corte dei Conti “nelle materie di contabilità pubblica e nella altre specificate dalla legge”. Da ultimo, accenno soltanto - poichè sono certo vi si farà riferimento con dovizia di dettagli e spunti di analisi da parte di chi interverrà successivamente - al delicato tema dei margini di esercizio del giudizio di ottemperanza del giudicato amministrativo sulle delibere consiliari. Si tratta di altra questione nevralgica, dalle conseguenze sistematiche non trascurabili perché si riflette, una volta ancora, sul modo di intendere la riserva di prerogative consiliari radicate nel più volte evocato articolo 105 della Costituzione.

In conclusione, molte sono le questioni aperte che coinvolgono il rapporto tra l’organo di governo autonomo e l’intero nostro diritto delle amministrazioni pubbliche. I riflessi delle soluzioni di tali rilevanti questioni interpretative assumono un peso decisivo per definire il volto del Consiglio Superiore, a maggior ragione in una stagione in cui se ne profilano un’opera di autoriforma e di riforma di notevole portata. Ed è anche per queste ragioni che un dialogo accurato tra le giurisdizioni e chi vive l’esperienza quotidiana della vita consiliare e del processo amministrativo, potrà aiutare tutti gli organi consiliari alle prese con molteplici problemi applicativi di vecchie e nuove disposizioni di legge, nonchè chiamati  ad assolvere in modo armonico e più consapevole alle delicate funzioni che la Costituzione e la legge conferiscono al Consiglio.

Vi rinnovo pertanto i migliori auguri di buon lavoro e il ringraziamento mio personale e di tutto il Consiglio Superiore della Magistratura.