14 Aprile 2016


Discorso del Vice Presidente Legnini in occasione dell'incontro con i Procuratori generali presso le Corti di Appello: “Applicazione dell’art. 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006

Il Vice Preside incontra presso l'aula Magna della Corte di Cassazione i Procuratori generali presso le Corti di Appello

Innanzitutto, rivolgo uno speciale ringraziamento al Procuratore Generale Pasquale Ciccolo. L'organizzazione di questo rilevante incontro con i Procuratori Generali delle Corti d'Appello, ha luogo in una fase in cui il Consiglio Superiore, negli scorsi mesi, ha provveduto ad un rilevante ricambio al vertice di non pochi uffici di Procura. Sin dall’avvio del suo incarico, egli ha inteso conferire particolare rilievo a questo appuntamento annuale, in applicazione dello spirito dell'art. 6 del d. lgs. n. 106 del 2006, cogliendo lo spirito delle disposizioni della riforma dell'ordinamento giudiziario che esclude ogni elemento di intrusione sulle prerogative dei singoli uffici di procura e delle procure generali, valorizzando, invece, la periodica interlocuzione affidata alla relazione annuale di ciascun titolare ufficio di procura generale.

Mi permetto di affermare che la finalità che il Procuratore Generale della Suprema Corte di cassazione, più che nel passato, intende conseguire consiste nell’accrescere il confronto e la qualità dello scambio di informazioni su temi di rilevante interesse riguardanti l'assetto organizzativo delle procure. L’obiettivo rimane quello di conseguire uniformità di orientamenti che sovrintendano all'equo ed uniforme esercizio dell'azione penale e, in definitiva, a porre i procuratori generali nelle migliori condizioni di esercitare quel potere di sorveglianza che il legislatore del 2006 ha inteso loro affidare.

La decisione di valorizzare le competenze e le esperienze di diversi sostituti procuratori generali, affidando loro lo studio e la relazione su specifici rilevanti temi posti di volta in volta posti al centro del confronto, arricchirà la qualità dello scambio di modelli organizzativi e contribuirà, al contempo, ad accrescere l'autorevolezza della Procura Generale della Cassazione quale guida della magistratura requirente italiana.

Ma in senso più largo, anche il Consiglio Superiore, potrà giovarsi delle riflessioni che i relatori svolgeranno e del dibattito che si svilupperà in questi due giorni. Non mi soffermerò quindi sul merito dei pur rilevanti temi che saranno affrontati in questa sede, ma mi limiterò ad intrattenervi per qualche minuto sulla funzione che il Consiglio ha svolto ed intende svolgere al fine di dipanare taluni residui problemi organizzativi degli uffici di procura, soprattutto in relazione ai poteri propri che la legge ha attribuito ai capi degli uffici.

Al dibattito sul tema dell’organizzazione degli uffici di procura è stata impressa una notevole accelerazione nel corso dell’ultimo decennio e i procuratori generali ne sono stati i principali protagonisti.

Si può affermare che la questione del modello di ufficio requirente, a buon diritto, costituisca uno dei determinanti fattori di trasformazione del volto dell’autorità giudiziaria inquirente nell’ordinamento.

Dalle opzioni di fondo in tema di organizzazione delle procure, discendono rilevanti riflessi anche sull’impianto delle fonti di regolazione dell’attività del procuratore della Repubblica in un sistema che ha visto gradatamente sovrapporsi indicazioni legislative, fonti secondarie emanate dal Consiglio Superiore, nonché il proliferare di atti organizzativi adottati dai singoli capi degli uffici sui quali spesso si è svolta un'intensa interlocuzione con il governo autonomo, sfociati anche nell'espressione di puntuali pareri e risposte a i quesiti da parte del Conisglio.

I tre sottotemi fondamentali che costituiscono altrettanti elementi fondativi della riforma dell’ordinamento giudiziario sul fronte dell'organizzazione degli uffici di procura, possono riassuntivamente richiamarsi come segue:

  a. l’abbandono del sistema tabellare;

  b. l’eliminazione del principio di esclusiva responsabilità del capo dell’ufficio per l’esercizio dell’azione penale;

  c. talune scelte terminologiche: quali la parola “assegnazione” che va ad integrare e sostituire le alternative e antitetiche concezioni delle “deleghe di funzioni” o della “designazione”, in favore del sostituto competente.

Tutti termini, questi ultimi, che segnano il perimetro dei rapporti tra Capo dell’Ufficio, aggiunto, vicario, sostituti.

Il Consiglio Superiore si è rivelato un attore costante di questo progressivo e faticoso processo di limatura di ruoli e funzioni dei magistrati requirenti.

E anzi, spesso, proprio nel corso dell’esame di documenti di indirizzo presso il Consiglio, si è animato il confronto sull’alternativa di fondo tra il modello gerarchico e quello volto ad assicurare piena autonomia di funzioni a ciascun magistrato requirente.

Dopo la prima fase delle risoluzioni di sistema che prese le mosse con i due documenti di indirizzo generale del 2007 e del 2009 sono andati vieppiù sviluppandosi momenti di confronto ed ulteriori atti che compongono un vero e proprio mosaico modelli di organizzazione degli uffici.

Desidero ricordare il momento più alto di tale dibattito con l’intervento in Consiglio, nel 2009, dell’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano che segnò il punto di sintesi più maturo, con l’invito

“a tenere conto del fatto che con l’art. 6 del d. lgs n. 106 del 2006, sono stati accresciuti i poteri di sorveglianza dei procuratori generali presso le Corti d’appello e del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. I primi debbono innanzitutto verificare il corretto esercizio dell’azione penale, il rispetto delle norme del giusto processo, il puntuale espletamento – da parte dei procuratori – dei poteri di direzione, controllo e organizzazione; e poi, in seguito, all’acquisizione di dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto, riferirne al procuratore generale della cassazione. Questi viene così investito della vigilanza sul complessivo andamento delle attività svolte da tutti gli uffici requirenti”.

A questo momento di sintesi ed analisi della disciplina vigente hanno poi fatto seguito dibattiti e documenti consiliari di ampio respiro ordinamentale succedutisi, senza soluzioni di continuità, nel triennio 2012 – 2015. Oggi il Consiglio è impegnato in una stagione di notevole attivismo su questioni di valore assoluto che coinvolgono il ruolo dei procuratori generali, della Procura generale presso la Corte di cassazione, del rapporto tra procuratori titolari degli uffici e altri magistrati requirenti. A questa fase, vanno ascritti i numerosi e significativi interventi nella materia delle funzioni di contrasto al terrorismo e l’impegno che - lo posso annunciare sin da ora - darà vita ad un prossimo atto di indirizzo generale in punto di pubblicazione e propalazione del materiale frutto di intercettazioni telefoniche.

L’obiettivo del Consiglio è, dunque, quello di favorire l'implementazione della cultura organizzativa e delle buone prassi e, per tale via, concorrere a superare quel contrasto, mai del tutto sopito, tra la concezione verticistica degli uffici di procura e la visione fondata, viceversa, sull'intangibile, ma talvolta estremizzata, autonomia di ciascuno dei pubblici ministeri.

In definitiva, l'attività propria del Consiglio Superiore si inserisce a pieno titolo in un circuito di vigilanza sui modi dell’esercizio dell’azione penale e si fonda su due prerogative precise: con il delineare le linee guida sulle buone pratiche dell’organizzazione degli uffici di procura e, quindi, con la valutazione dei programmi organizzativi che ciascun dirigente dell’Ufficio trasmette al governo autonomo della magistratura.

La mancata rispondenza di tali programmi alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario e alle linee guida adottate dal Consiglio, attiva la facoltà, da parte del CSM, di formulare rilievi e trasmetterli al Procuratore, al Procuratore Generale e alla Procura Generale della Corte di cassazione. Tuttavia, in questo circuito delineato dall’art. 6 del d. lgs n. 106 del 2006, il ruolo del Consiglio non si limita certo a quello di un tramite, perché gli effetti dei rilievi sui programmi organizzativi devono sempre più potenzialmente rilevare per ciascuna delle funzioni consiliari tipiche: conferma nell’incarico direttivo; eventuali profili disciplinari connessi alla condotta; valutazione di professionalità.

Tutti strumenti, per ricorrere ad una felice citazione, che rendono il CSM depositario di un’autentica “nomofilachia delle prassi”, mantenendo sempre saldo il presupposto per cui non ci si trova davanti a poteri autoritativi, ma ad un ruolo che si esercita attingendo all'autorevolezza e all’efficienza dei lavori del Plenum e della Settima Commissione, che intendo ringraziare per lo straordinario lavoro, per qualità e quantità, svolto sin dall’inizio della consiliatura.

Se questi sono, dunque, gli indirizzi operativi consiliari, appare evidente che, nel riferirsi ad un impianto di norme che delinea una forma di coordinamento, risulta più chiaro l’obiettivo di fondo cui si tende. Ma occorre anche precisare in cosa risiede esattamente, oggi, il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura in questo delicato ambito di esercizio delle funzioni delineate dall’articolo 105 della Costituzione.

Utilizzando un'espressione coniata dal compianto mio predecessore, Vittorio Bachelet, illustre amministrativista, siamo di fronte ad una forma di “coordinamento aperto”, cioè non improntato a schemi fondati su gerarchia e principio di autorità, e invece basato sul quadro costituzionale che pone al centro la magistratura come potere – ordine, di natura diffusa.

E allora il quadro normativo vigente si deve leggere non come terreno di istanze di prevalenza, controllo sanzionatorio e conflitto, ma quale fondamento di cooperazione per un comune obiettivo, quello di garantire l’uniforme esercizio dell’azione penale e l’applicazione delle regole del giusto processo, nonché favorire il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici.

In disparte, infatti, il tema dei poteri propri di cui dispone il procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, in particolare con riguardo alle c.d. intercettazioni preventive, è evidente che l’impianto della nuova disciplina tende ad incrementare e sviluppare il raccordo delle attività investigative. Si mira a valorizzare il circuito già attivo in materia di contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa, investendo, peraltro, l’autorità giudiziaria requirente di un più intenso onere di collaborazione anche con i Servizi per l’informazione e la sicurezza dello Stato.

In questo ambito, come noto, il Consiglio si è pronunciato di recente, con una risoluzione volta a delineare indirizzi di applicazione delle nuove disposizioni vigenti. Queste, peraltro, rafforzano il modello fondato sulle funzioni di coordinamento della Procura nazionale antimafia e sulla rete delle Direzioni distrettuali.

Si tratta di un lavoro ben strutturato, frutto di un confronto con i protagonisti delle nuove sfide imposte dalla drammatica contingenza che viviamo e che il legislatore ha inteso affidare alla magistratura contando sull'apporto della Procura Generale. Si lega così l’evolvere del ruolo della magistratura requirente con le funzioni proprie di soggetti esterni all’ordine giudiziario preposti all’ardua ed inedita azione di contrasto al terrorismo internazionale.

E proprio dal contenuto di detta risoluzione, è possibile scorgere che i modelli organizzativi e le direttrici di sviluppo delle buone pratiche, consentono anche di ampliare i rapporti tra le procure, i servizi di sicurezza, il Garante per la tutela dei dati personali, le magistrature e le autorità preposte di altri Paesi a noi accomunati dal rischio immanente di attentati terroristici.

E’, questa, la riprova che il coordinamento aperto cui mi riferivo in precedenza consente anche di favorire gli anticorpi alle chiusure autoreferenziali e, anzi, delinea una via virtuosa per forme di integrazione che presto o tardi favoriranno anche un‘aumentata ed effettiva tutela dei diritti fondamentali.

La settima commissione, su impulso del Comitato di Presidenza, ha già avviato un intenso e complesso lavoro volto a definire una nuova e più compiuta circolare sull'organizzazione degli uffici di Procura.

Si tratta di un’analisi da portare a termine giovandosi delle elaborazioni già prodotte - e cui ho fatto ampio riferimento - valorizzando le preziose esperienze e gli spunti organizzativi sperimentati in diversi uffici, sviluppando un confronto aperto con i capi delle procure, con i procuratori generali ed ovviamente con il procuratore Generale della corte di Cassazione.

Naturalmente, nel corso del lavoro consiliare, si impone di prestare attenzione all'evolvere delle iniziative di riforma dell'ordinamento che il Ministro della Giustizia ha inteso promuovere e che già consente di intravedere spunti di sicuro interesse.

In Consiglio è altresì condivisa l’intenzione di valorizzare le circolari adottate dalle Procure di Roma, Torino e Napoli sullo spinoso tema delle intercettazioni telefoniche.

L'intento è quello di pervenire alla definizione di linee guide frutto dell'acquisizione delle positive ed innovative misure recate in quelle circolari valorizzato dall'ulteriore contributo culturale in punto di prassi organizzative di cui dispone il Governo autonomo. Certo, il Consiglio non può e non deve invadere l'esercizio del potere proprio dei Capi delle Procure, che, anzi, intendiamo salvaguardare e valorizzare, ma non ci si può nemmeno sottrarre al dovere di contribuire a definire buone prassi applicative per tentare di individuare un possibile equilibrio tra l'impiego dell’ irrinunciabile strumento investigativo delle intercettazioni e i valori costituzionali sottesi al diritto alla riservatezza, ad una corretta informazione e al diritto di difesa.

Le frequenti indebite divulgazioni di conversazioni estranee al tema di indagine e relative alla vita privata di cittadini spesso neanche indagati, rischiano di compromettere il prestigio e l'immagine dei titolari dell'azione penale e della polizia giudiziaria.

Se quelle misure adottate, che sappiamo essere il frutto di attenta ponderazione, sono utili a realizzare il rispetto dei valori costituzionali coinvolti, non vi è ragione di sottrarsi al dovere di mettere a disposizione di tutti gli uffici di procura un atto di autoregolamentazione uniforme cui ciascun Procuratore Capo e ciascun magistrato inquirente potrà attenersi o ispirarsi.

Da tempo, il Ministro della Giustizia e il Parlamento perseguono intenti riformisti ad oggi ancora non pervenuti a conclusione; tuttavia, occorre operare nel pieno e rigoroso rispetto delle norme vigenti e dei poteri organizzativi dei capi delle procure.

Il confronto che si svilupperà in questi giorni e in una sede tanto autorevole costituirà per noi - questa è l'intenzione che abbiamo condiviso con il procuratore Generale Ciccolo - un prezioso punto di riferimento. Formulo quindi a voi tutti gli auguri di buon lavoro, ed in particolare rinnovo i miei auguri ai diversi procuratori generali qui presenti di recente nominati dal Consiglio; infine, rivolgo a tutti voi un particolare ringraziamento per l'insostituibile lavoro che quotidianamente assicurate al servizio della giustizia e dei cittadini.