22 Settembre 2015


CSM, Legnini: intervento alla presentazione del volume "Le costituzioni italiane 1796-1948"

Il discorso che il vicepresidente del CSM, Giovanni Legnini, ha tenuto in occasione della presentazione del volume "Le costituzioni italiane 1796-1948". Al Convegno, in Senato, erano presenti il Presidente Grasso e il Ministro Boschi.

Signor Presidente del Senato, Onorevole Ministro,

 

Signore e Signori,

 

Ringrazio innanzitutto la Casa Editrice Textus e per essa il Direttore Edoardo Caroccia, per avermi accordato l'onore e il piacere della condivisione della pubblicazione che oggi viene presentata. E’ un onore accresciuto dalla richiesta di contribuirvi sin dalla genesi. L’occasione di poter presenziare alla presentazione del volume oggi in una sede di tale rilevanza, mi è particolarmente gradita per la presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso e del Ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.

 

Mi fu da subito chiaro che era un’intuizione editoriale originale, credo inedita; si trattava, come ho già sottolineato nella prefazione, di un viaggio a ritroso nella storia delle Costituzioni italiane non soltanto per promuoverne la conoscenza ma per rintracciare la radici storiche nella cultura giuridica italiana, sin dalla fase preunitaria, e per tenere ferme alcune importanti acquisizioni che giunsero sino alla Costituzione repubblicana, frutto dello spirito profondo che animò l'Assemblea Costituente.

 

 

La presentazione di questo volume curato da Enzo Fimiani e Massimo Togna, che dobbiamo tutti ringraziare per il prezioso lavoro svolto e per la dedizione e passione che li ha animati, giunge in un momento di possibile svolta storica della vita delle istituzioni repubblicane.

 

La particolare coincidenza di oggi accresce il già elevato valore culturale di questa pubblicazione che accosta i testi costituzionali più rilevanti a quelli meno conosciuti della storia prerepubblicana, dimostrando ancora una volta che, come è stato detto, "il diritto costituzionale non sorge mai dal nulla, recidendo del tutto ogni relazione con nessi e sviluppi di carattere storico".

 

Il complesso delle Carte costituzionali presentate nel volume consente di rispondere da subito a un primo quesito che affatica, e non certo da oggi, studiosi e appassionati. E’ la domanda che chiama in causa i connotati di fondo di una Costituzione, la sua natura ed essenza e si risolve, al fine, nel chiedersi cosa essa sia.

 

A tale quesito offre risposta proprio l’incipit della raccolta del volume. Le Costituzioni del triennio giacobino – quello per intenderci che va dal 1796 al 1799 – sono il frutto diretto della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo del 3 settembre 1791, il cui articolo 16 disponeva: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione”.

 

Non a caso la tutela dei diritti e la separazione dei poteri rappresentano il minimo comune denominatore di tutti i documenti che appaiono nella storia della nostra penisola e ciò indipendentemente dalla loro più o meno effimera vigenza, con l’unica eccezione della costituzione della Repubblica di Salò mai entrata in vigore e frutto della morente ideologia del regime fascista.

 

Le norme che identificano una forma di Stato e di governo sono intimamente correlate con le garanzie dei diritti di libertà, in primis attraverso le riserve di legge parlamentare poste a presidio delle libertà civili e di tutti i diritti fondamentali.

 

Questo anello di congiunzione tra i due elementi essenziali che contraddistinguono ciascun documento costituzionale, non solo accomuna le carte fondative delle Repubbliche Cisalpina e Cispadana del 1797, quella napoletana del 1799, nonché quelle frutto della breve stagione della Repubblica romana del 1849, ma si coglie anche nei valori compositivi dello stesso Statuto Albertino del 1848.

 

Non sempre ci si sofferma con la dovuta attenzione sulle avanzate garanzie giurisdizionali che già lo Statuto predisponeva, così da assistere le libertà costituzionali dei cittadini piemontesi prima e di quelli italiani poi.

 

L’articolo 71 dello Statuto albertino delineava il principio per cui nessuno può esser distolto dal proprio giudice naturale e vi legava, per diretta conseguenza, il divieto di istituzione di Tribunali straordinari e giudici speciali. Si tratta, come noto, di un patrimonio giuridico recepito, esattamente un secolo dopo, dagli articoli 25 e 102, secondo comma, della nostra Costituzione repubblicana.

 

Che proprio tale inscindibile legame tra sistema di esercizio del potere giudiziario da una parte, e protezione dei diritti fondamentali dall’altra, rappresenti una delle chiavi di volta per leggere e interpretare la stratificazione della cultura costituzionale italiana, appare oltre modo chiaro dalla lettura di tutti i documenti raccolti nel volume che oggi presentiamo.

 

Proprio alla luce della convivenza tra il riconoscimento dei diritti dei singoli e la loro garanzia per il tramite della separazione dei poteri, si schiude un’ulteriore prospettiva di lettura del volume curato da Fimiani e Togna: quella volta a cogliere l’evoluzione del potere giudiziario nella storia costituzionale italiana.

 

Le disposizioni dedicate alla magistratura dallo Statuto albertino consentono di apprezzare ancor di più il Titolo IV della Parte Seconda, frutto dei lavori dell’Assemblea Costituente. E anche in questo caso, i valori compositivi della Costituzione del 1948 si intendono appieno soltanto se si collegano le garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura – e tra queste l’istituzione del Consiglio Superiore – alla protezione contro le limitazioni delle libertà civili. La terzietà del giudice, suprema garanzia della libertà personale e degli altri diritti fondamentali, oggi patrimonio culturale comune all’intero continente europeo, è rinforzata proprio dalle proclamazioni previste dall’articolo 101 della Carta, dal principio di obbligatorietà dell’azione penale, dal divieto di istituzione di nuovi giudici speciali, e infine dalle competenze fissate in capo allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura dall’articolo 105 della Costituzione.

 

In questa stagione in cui guardiamo con rinnovato ottimismo alle prospettive di riforma e autoriforma dello stesso Consiglio Superiore, quando si discutono e si approvano innovazioni non lievi nel quadro delle prerogative dell’ordine giudiziario, della responsabilità disciplinare dei giudici e dei pubblici ministeri, occorre mantenere ferma la stella polare offerta dall’ordito costituzionale.

 

Coglierne la forza e il valore rimane fondamentale, senza di che - per citare un recente volume di un valido studioso italo-francese – saranno direttamente i nostri diritti a risentirne, mostrando il volto di “libertà fragili”.

 

Occorre dunque mantenere la consapevolezza che il dispiegarsi della forma di governo parlamentare quale indiretta garanzia dei diritti tutelati dalla prima parte, fondata sulla rappresentanza, valica il confine tra i due secoli, fino ad informare di sé la Costituzione repubblicana. Il ruolo della Camere, la loro competenza ad esercitare il potere legislativo si salda direttamente con le singole riserve di legge in base alle quali solo si possono prevedere limitazioni all’esercizio delle libertà civili e politiche.

 

Come noto, gli equilibri che ruotano intorno alla rappresentanza parlamentare si condensarono, in esito ai lavori dell’Assemblea Costituente, sull’opzione per un bicameralismo quasi perfetto, che dota il Senato e la Camera di funzioni paritarie, ma di differenti composizione e genesi elettiva.

 

La revisione costituzionale del 1963 parificò la durata delle due Assemblee, accrescendo ulteriormente gli elementi di omogeneità tra le Camere.

 

Data l’autorevolezza degli oratori che mi hanno preceduto, non intendo certo intervenire sul merito del dibattito che anima il procedimento di revisione all’esame del Senato – un tornante davvero decisivo - proprio in queste settimane. Occorre però ribadire un suggerimento su cui il volume curato da Fimiani e Togna giustamente richiama l’attenzione del lettore.

 

L’aver inserito nella raccolta di testi anche carte costituzionali di effimera vigenza o mai davvero venute alla luce, induce a ribadire che la parabola di vita di una Costituzione deriva dalla legittimazione e dal consenso che la circonda. Per questo è opportuno che anche le revisioni costituzionali siano frutto di un’ampia ricerca di condivisione.

 

Nessuno poteva immaginare, quando questo progetto editoriale nacque e si sviluppò, che la presentazione del volume sarebbe ricaduta proprio nei giorni decisivi per la definitiva approvazione in prima lettura dell'ampia revisione costituzionale destinata a cambiare la vita del nostro Paese.

 

Naturalmente mi asterrò dall'esprimere opinioni e valutazioni sul contenuto delle deliberazioni che uno dei due rami del Parlamento si accinge a compiere e sull’impegnativo confronto che da lungo tempo si svolge e che proprio in queste ore sembra individuare un possibile esito positivo.

 

Consentitemi soltanto di riferire una sensazione che mi pervase nel novembre del 2005 quando, all'inizio della mia esperienza parlamentare, partecipai alla seconda ed ultima lettura della vasta revisione che poi fu respinta dagli elettori nel referendum costituzionale.

 

La sensazione fu quella che le modifiche ordinamentali sostenute da una base parlamentare troppo ristretta non garantiscono una soluzione stabile e duratura. Il che accadde, peraltro, per la riforma del Titolo V approvata con una limitata maggioranza nel 2001 e, non a caso, oggetto dell’odierno intervento riformatore.

 

Da cittadino pervaso dalla passione per i principi della nostra Costituzione e dall'amore per le istituzioni repubblicane, non posso che auspicare la condivisione più larga possibile sul disegno riformatore.

 

I corsi storici insegnano che studiare la radice genetica degli istituti, e ciò vale anche con riguardo all’evoluzione della rappresentanza parlamentare, al ruolo delle Camere nell’ordinamento costituzionale, alle loro funzioni, continua a rappresentare un’esperienza dal pregio inesauribile.

 

Sono certo che i Professori Esposito, Longo e Bonini, che prenderanno parte al dibattito che seguirà a queste nostre parole di saluto, non mancheranno di sottolineare il fatto che le Costituzioni vivono nella Storia e sorgono da vicissitudini umane, talvolta anche tragiche e dolorose, talaltra coincidenti con grandi momenti di consonanza e unità ideale, come accadde proprio per l’Assemblea Costituente.

 

Voglio ricordare che la Carta costituzionale vigente fu approvata in via definitiva dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, certo in un'epoca storica e in un contesto totalmente diversi, con 458 voti favorevoli e 62 contrari, pari all'88% dei votanti.

 

Ecco perché non è mai vano un esercizio di prudenza, di mediazione, di ricerca ampia e costante del consenso, quando si tratta di modificare e rivedere una Costituzione; al contempo, occorre evitare di vanificare il ricco e prolungato dibattito alla base del disegno di legge di revisione oggi all'esame del Senato: una riforma condivisa e orientata ad un miglior funzionamento delle istituzioni repubblicane ora, dopo molteplici tentativi caratterizzati da insuccessi, si profila all'orizzonte.

 

Merito di questo volume originale, unico nel genere e quindi, in definitiva, dei suoi curatori e dell’editore, è anche quello di ricordarci il valore e la portata dei cambiamenti in atto di cui il nostro Paese ha da tempo necessità.