18 Aprile 2016


CSM, il discorso del Vice Presidente Legnini agli Stati generali dell’esecuzione penale

Il vicepresidente del CSM, Giovanni Legnini è intervenuto alla giornata di riflessione sull’esecuzione penale in Italia, con l’obiettivo primario di rendere più umani i connotati delle sanzioni penali e a trasformare a fondo il volto delle misure restrittive della libertà dei singoli, orientandone le fasi della comminazione e dell’esecuzione ai principi scolpiti nell’articolo 27 della Carta fondamentale.

Onorevole Ministro,

Magistrati,

Autorità tutte,

Signore e Signori,

1. Ringraziamenti e inquadramento dei lavori degli Stati generali nel sistema dell’esecuzione penale.

E’ per me un onore partecipare a questa giornata di riflessione sull’esecuzione penale in Italia.

Quello di oggi è un evento che chiude e al contempo avvia una stagione di grandi mutamenti nel delicato settore dell’esecuzione della pena e delle misure di sicurezza e costituisce il coronamento della tenace azione, da parte del Ministro, volta a rendere più umani i connotati delle sanzioni penali e a trasformare a fondo il volto delle misure restrittive della libertà dei singoli, orientandone le fasi della comminazione e dell’esecuzione ai principi scolpiti nell’articolo 27 della Carta fondamentale. 

Occorre dare atto del fatto che mai come in questi ultimi anni la pratica e la cultura dell’innovazione nell’ambito dell’esecuzione penale hanno mostrato effetti virtuosi.

Sul piano dei risultati concreti, come rilevato dal Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, il consistente decremento delle presenze negli istituti di pena appare un notevole passo in avanti che amplifica una tendenza in atto da tempo grazie all’adozione di alcuni decreti legge volti a fronteggiare l’emergenza carceraria. Si tratta di dati eclatanti se si pensa che al 31 dicembre 2013 il numero di detenuti presenti era di 62.536 a fronte dei 52.164 al 31.12.2015.

E tuttavia il mero rilievo numerico, certamente non rappresentativo dei termini di un’analisi complessiva del tema delle condizioni detentive in Italia, non basterebbe ad offrire risposte a rilievi, doglianze e condanne, le quali, culminate con la nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, Torregiani contro Italia, meritano senz’altro un completamento innanzitutto dal punto di vista culturale.  Infatti, occorre mantenere viva l’ambizione di incidere a fondo sul sistema nel suo complesso.

E questa è una delle esigenze – non certo l’unica – per la quale gli Stati Generali dell’esecuzione penale sono stati istituiti e sono stati composti i ben diciotto tavoli di lavoro che hanno prodotto risultati notevoli, sia dal punto di vista della ricchezza delle proposte, sia sul versante della profondità del dibattito. Vi hanno preso parte sensibilità e professionalità assai diverse provenienti dal mondo dell’Accademia, dell’avvocatura, del volontariato, degli operatori del mondo carcerario e, naturalmente, dell’ordine giudiziario.

Proprio dall’integrazione tra i diversi saperi e tra i differenti retroterra culturali che hanno trovato rappresentanza e spazio in ciascuno dei Tavoli, ha avuto origine un lavoro di proporzioni vaste ma non velleitarie, profondo e innovativo, ma in costante dialogo con il dettato costituzionale, attento alle peculiarità del sistema penale e tuttavia proiettato in una dimensione europea di ripensamento e umanizzazione del trattamento penale.

2. Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura nello scenario attuale.

Muovo da tali considerazione per tentare di cogliere gli orizzonti in cui le proposte avanzate possono trovare spazio di collocazione  e sviluppo.

Qualora il disegno di legge di delega ora all’esame del Senato entrasse in vigore, spetterebbe al Governo decidere quanto e come dei disegni normativi delineatisi in seguito ai lavori degli Stati generali potranno ottenere attuazione, traducendosi in corrispettivi articolati di schemi di decreti legislativi.

A questo riguardo, intendo contrarre qui un obbligo di collaborazione piena e convinta cui il Consiglio Superiore non mancherà di adempiere.

Già l’assemblea consiliare, sulla base di un’articolata proposta della Sesta Commissione, si è pronunciata, nello scorso mese di marzo, in merito al seguito e allo sviluppo da dare ai lavori degli Stati dell’esecuzione penale, manifestando il proposito di rivestire un ruolo di interlocuzione sulle possibili iniziative legislative che seguissero ai lavori dei Tavoli.

Inoltre, è nostro intendimento favorire un processo di elaborazione affinché alcune delle tracce normative emerse dal lavoro degli Stati generali possano essere tradotte in apposite circolari per gli Uffici requirenti, giudicanti e di sorveglianza, in modo tale da preludere ad una sorta di sperimentazione sotto forma di pratiche virtuose di alcuni spunti innovativi. Queste ipotesi di prassi anticipatorie potranno in seguito contribuire a comporre il mosaico della riforma di sistema, sia delle norme dell’ordinamento giudiziario che delle disposizioni codicistiche.

Il Consiglio intende mantenere la propria tradizione di partecipazione attiva ai temi dell’esecuzione della pena, in particolare secondo tre direttrici: ricostituendo quanto prima la Commissione paritetica, ottimamente presieduta dal Prof: Giostra nella passata consiliatura,  volta ad esaminare e affrontare le questioni più complesse concernenti la magistratura di sorveglianza; offrendo un contributo puntuale in sede di elaborazione dei pareri sugli atti normativi che verranno adottati, sulla base dei contributi dei Tavoli di lavoro, in materia di esecuzione penale; rafforzando gli espressi riferimenti affinchè la giurisdizione, in sede di esecuzione della pena, mantenga un suo spazio definito nell’ambito delle linee guida per la formazione che il Consiglio stabilisce annualmente e nell’ambito delle quali la Scuola Superiore della Magistratura sviluppa la propria offerta formativa permanente.

3. I principi cui guardare per assecondare il cambiamento.

Del resto, proprio sulla scorta di questi elementi che più da vicino concernono il ruolo dell’ordine giudiziario nell’attuazione dei principi costituzionali in materia di comminazione ed esecuzione della pena, si coglie la direzione in cui va evolvendo l’ordinamento italiano. Un quadro di insieme, questo, che deve essere alimentato e rafforzato con il contributo di tutti gli attori coinvolti nell’articolato mondo dell’esecuzione penale. Anzi, può dirsi che, mai come oggi, questo invito a mettere in campo un’azione integrata a fare sistema, risulta determinante.

Al riguardo, sfide complesse attendono l’ordine giudiziario. La magistratura di sorveglianza, non da oggi, è quella che, forse più di tutti i plessi giurisdizionali, vive l’esperienza del proliferare di funzioni e il contatto intenso con saperi altri rispetto a quelli riconducibili al mondo del diritto. La relazione speciale con la psichiatria o con la criminologia e, non ultimo, il peso di scelte che incidono a fondo sulle vite delle persone in esecuzione pena, sono rese ancora più complesse dal risalto mediatico - non sempre giustificato per la verità - che rivestono talune decisioni assunte e gli atti giudiziari adottati.

Il che rappresenta, in ultima analisi, l’altro lato della medaglia del celebre adagio secondo il quale il grado di civiltà di un Paese si misura dalla condizione in cui versano i sui detenuti.

E tuttavia occorre ribadire che l’esperienza degli Stati Generali ha finito con lo sviluppare proposte che muovono da acquisizioni e principi coerenti e già chiari. Mi riferisco: alla perdita di centralità della pena carceraria e della misura di sicurezza detentiva; l’esigenza indefettibile di conferire importanza al trattamento individualizzante e al rifiuto di risposte generaliste per intere categorie di detenuti; la evidente necessità di far sì che la politica criminale secondo la Costituzione da una parte, e i sistemi di protezione sociale dall’altra, compiano percorsi convergenti; infine, il rafforzamento dei caratteri di progressione e premialità del trattamento rieducativo.

4. I risultati degli Stati generali dell’esecuzione penale di fronte alla collettività.

Già al principio degli anni Ottanta uno dei grandi scienziati del nostro diritto penale, Franco Bricola, ammoniva sul fatto che le tentazioni securitarie originano spesso dal recedere dei sistemi di Welfare. Il che richiama tutti gli attori dell’esecuzione penale a produrre ogni sforzo per incrementare le risorse e tenere alta la qualità dei servizi, con particolare riguardo a quelli che presiedono al ritorno o alla permanenza del singolo nella società aperta.

Da ultimo, sembra indispensabile che le eventuali scelte riformatrici trovino larghi spazi di condivisione nella coscienza collettiva.

In particolare, il legislatore non potrà cedere alle sirene del diritto penale dell’emotività, e lo straordinario lavoro degli Stati Generali si muove senz'altro in tale direzione,  dovendo viceversa affiancare la produzione legislativa dettata dalle eventuali emergenze ad un saldo indirizzo normativo di impianto sistematico.

In definitiva, l’obiettivo diviene quello di rinvigorire gli spazi di consenso comunitario e di sinergia tra servizi e operatori per scongiurare i rischi di regressione istituzionale che sempre si accompagnano a fasi quali quella presente, in cui già si determina - o quantomeno si propone - il superamento di istituti ormai quasi inservibili quali l’ospedale psichiatrico giudiziario, la casa di cura e custodia, la colonia agricola, la casa di lavoro, lo stesso carcere come fulcro di un sistema penale ancora surrettiziamente pensato  per assolvere a residue pulsioni del “sorvegliare e punire”.

Anche su questi fondamentali fronti di sfida, dunque, il Consiglio Superiore della Magistratura non mancherà di offrire un costante e convinto contributo come a ben guardare, se si analizzano a fondo i suoi valori compositivi, impone la nostra Carta fondamentale. D’altra parte, è ormai pienamente superata la concezione che vedeva nella magistratura di sorveglianza una di quelle “nicchie della giurisdizione” che potevano essere risparmiate dall’evolvere e dal modificarsi dei tempi. Così la magistratura di sorveglianza appariva immersa in un cono d’ombra separato che non richiedeva particolare devoluzione di risorse, modelli organizzativi, cultura e formazione mirate. L’esperienza degli Stati generali dell’esecuzione penale viene invece a rinnovare la consapevolezza, che deve unire tutti noi, di quanto questo versante peculiare della giurisdizione vada al contempo specializzandosi e ampliando contaminazioni culturali e influenze con altre scienze sociali.

La magistratura di sorveglianza, oggi, è divenuto uno dei fulcri per porre al centro dell’ordinamento penitenziario la persona umana e i suoi diritti fondamentali incomprimibili.  Si tratta di magistrati chiamati a bilanciare e tenere insieme le varie funzioni della pena e a garantire rispetto e dignità per persone in condizioni di debolezza di cui sono chiamati a decidere la sorte, spesso attraverso le impervie strettoie di  valutazioni prognostiche e incerte quali quella sulla pericolosità sociale. Rivolgo ai magistrati di sorveglianza d’Italia la mia gratitudine e rinnovo la promessa che il Consiglio farà di tutto per assecondarne le esigenze, favorirne l’operato, sostenerne l’alta funzione di garanzia dei diritti dei detenuti e degli ex internati.

Con queste mie brevi considerazioni e riflessioni, rivolgo a voi tutti gli auguri di buon lavoro nella certezza che i risultati di questi due giorni di lavoro ci consegneranno i risultati più approfonditi e maturi di cui abbiamo mai disposto per far avanzare il processo di de-carcerizzazione per fortuna già in atto dopo alterne fasi nella storia repubblicana. 

                               Grazie ancora e buon lavoro