08 Marzo 2018


Lectio magistralis presso l'Università degli Studi di Salerno dal titolo "Il Governo Autonomo della Magistratura"

Università degli studi di Salerno

Il Consiglio Superiore della Magistratura

All’origine del tema: indipendenza e autonomia della magistratura. L’idea di assistere con apposite garanzie istituzionali, e in particolare con organismi di governo speciale l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura, viene da lontano. Già con il formarsi degli Stati nazionali, si assisteva al progressivo formarsi del ceto magistratuale. L’esperienza evolutiva è, tutto sommato, comune all’intera Europa continentale. Muovendo dall’appartenenza alla generale categoria dei funzionari pubblici, i soggetti della giurisdizione vanno specializzandosi e, al contempo, emancipandosi dallo storico controllo che li vedeva, in precedenza, dipendenti dalle Monarchie, poi, comunque, non estranei alle influenze dei Governi. Si va sviluppando, dunque, la cultura dell’indipendenza e della terzietà degli appartenenti all’ordine giudiziario.

Il passaggio dall’epoca liberale allo Stato novecentesco. Il tema si sviluppa e si arricchisce nelle Costituzioni del secondo Novecento, tra cui la nostra; si avverte l’esigenza di corredare la tutela della posizione della magistratura con forme di separazione dalle logiche dell’amministrazione classica dello Stato apparato.

L'originalità dell'assetto costituzionale italiano

Dopo la stagione buia del ventennio fascista, durante la quale l'indipendenza della magistratura subì la stessa sorte delle libertà individuali, l'assetto del governo autonomo della magistratura fu il frutto di una lunga ed approfondita discussione nell’assemblea Costituente .

Gli equilibri  che furono individuati costituiscono un unicum nel panorama degli ordinamenti costituzionali europei e non solo.

Le scelte sulla composizione,  le modalità di elezione, la Presidenza e la Vice presidenza, le funzioni conferite, i rapporti con gli altri organi costituzionali,  i rapporti con il Ministro della Giustizia, risentono del punto    di equilibrio delle norme costituzionali raggiunto sull’ordine giudiziario.

Va dunque tenuto a mente un concetto che, nel corso del tempo, è caduto un poco in ombra e che vale recuperare, traendolo dalla migliore dottrina: “tutte le scelte inerenti il Consiglio, la sua disciplina costituzionale ma anche il modo in cui se ne interpreta, nel diritto vivente, la disposizione nell’ordinamento, sono espressione della diversa configurazione del ruolo della magistratura e del suo grado di autonomia ed indipendenza nonché della concezione del rapporto che intercorre tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato.

Dunque, un tratto caratteristico del Consiglio è che esso è un’istituzione servente, perché orienta l’esercizio delle proprie funzioni all’evoluzione del ruolo e della morfologia dell’ordine giudiziario.

Quest’ultimo ruota attorno ai  valori costituzionali che regolano l’esercizio della giurisdizione: indipendenza ed autonomia dell’ordine giudiziario (art. 104 Cost.); soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.); obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.); conformazione del giusto processo secondo il modello della parità delle armi, del contraddittorio e della ragionevole durata (art. 111 Cost.);  funzione  nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione (ancora art. 111 Cost.); nessuna distinzione tra magistrati se non in base alle diverse funzioni esercitate (107 Cost.).

Insoddisfazione e dubbi sull’analisi teorica e il peso effettivo del CSM.

Gli approdi cui sono pervenuti il dibattito pubblico  e la dottrina costituzionalistica sul ruolo e la posizione del Consiglio Superiore della Magistratura nell’ordinamento sono segnati da dubbi ed incertezze non risolti.

Le cause di questa sospensione permanente dell’analisi o di una certa refrattarietà dell’istituzione consiliare a lasciarsi definire ed analizzare sono molteplici.

a.      difficoltà nel cogliere i contorni della funzione consiliare in senso statico, anche solo muovendo dall’interpretazione delle disposizioni costituzionali e dal sistema delle fonti attributive dei poteri al Consiglio.

b.     la sfuggevole definizione (e l’incerta attuale portata) della dogmatica di organismo di rilievo costituzionale;

c.      i dubbi sul principio di tassatività e tipicità delle prerogative del CSM;

d.      la irrisolta divergenza di vedute sulla natura amministrativa di tutte o alcune delle sue funzioni.

e.      la dimensione dinamica del ruolo consiliare, il modo in cui si sviluppa, ovvero il suo proiettarsi nelle relazioni con gli altri organi e poteri dello Stato suscita vivaci dibattiti.

Ed  e' soprattutto sotto tale  ultimo profilo che  molto sembra essere mutato, almeno nelle due ultime consiliature, nel modo in cui il Consiglio interagisce con gli uffici giudiziari, il Ministero della Giustizia, l’Associazione nazionale magistrati, le Camere, l’intero ordine giudiziario quale potere diffuso.

Una schematica partizione in tre fasi della vita del Consiglio nell’ordinamento repubblicano.

a. Nei quasi trentacinque anni che hanno visto il Consiglio operare a fronte di un sistema politico tendenzialmente statico, dominato da leggi elettorali proporzionali, governi di vita breve e fondati su equilibri di coalizione, si è scorto in prevalenza un Consiglio volto a garantire e proteggere lo stato giuridico dei magistrati, custode esclusivo anche della loro formazione. Vi è, tuttavia,  che anche a fronte del consolidarsi di una forma di governo parlamentare monista a tendenza multipartitica, il Consiglio ha sperimentato vari sistemi elettorali per la componente togata, senza però che ne risultasse stravolto il funzionamento,  tranne forse in occasione di una consiliatura che vide l’egemonia quasi totale di una componente associativa. Il che indusse, peraltro, a tornare a più miti consigli il Parlamento, così da rigenerare schemi di rappresentanza plurale e più frammentata, comunque non più marcatamente maggioritaria. E’questa la fase di vita del Consiglio che segna l’apogeo degli anni di piombo, con la consiliatura segnata dalla guida di Vittorio Bachelet, barbaramente assassinato dalle Brigate Rosse.

b. Molto cambia, circa un decennio più tardi, nel 1991, quando il Consiglio diviene teatro - e al contempo attore - di una conflittualità diffusa, in primis con le Camere non senza coinvolgere persino la Presidenza della Repubblica. Ne segue un progressivo ampliamento della conflittualità con gli Esecutivi succedutesi dal 1994 in poi; essa coincide, almeno per larga parte, con la stagione del sistema elettorale maggioritario e dell’instabile fase dell’incompiuto bipolarismo di coalizione. Si tratta, come noto, del periodo che va dal 1994 a quasi metà della sedicesima legislatura repubblicana,  in coincidenza con la profonda crisi economica che ha investito il continente europeo fino a lasciar intravedere persino i segnali di una profonda perdita di legittimazione delle istituzioni rappresentative.

c. Quando poi i lunghi anni della transizione prima e della crisi poi, hanno mancato di risolversi nell’approdo ad un sistema maggioritario definito, la conflittualità è mutata di segno, lasciando emergere, almeno a tratti, un ruolo consiliare più aperto e dinamico. Dall’inizio del decennio, il CSM ha visto declinare la lunga stagione della contrapposizione con i Governi ed ha cominciato, dunque, ad affievolire quella percezione di chiusura difensiva a presidio a volte autoreferenziale della magistratura ordinaria e dei singoli magistrati, per avviare un percorso di apertura delle funzioni dell’art. 105 Cost. verso nuovi orizzonti.

Il ruolo del giudice che cambia e l’evoluzione dell’ordinamento    

Il ruolo del giudice si è modificato lungo l’arco dell’intera storia repubblicana in dipendenza - e talvolta anche in supplenza - degli spazi abbandonati dalla funzione legislativa, si modifica anche l’interpretazione delle funzioni del CSM.

Il modello di giudice mera “bocca della legge” finisce per mostrare la corda e la Carta fondamentale lascia emergere un nuovo soggetto giudicante, immerso negli equilibri della legalità costituzionale e consapevole della necessità di preservare la propria autonomia e indipendenza, garantendo al contempo un alto grado di efficienza e prevedibilità nel rendere giustizia.

Di qui, la fine del’ipotesi di limitarsi al solo compito di sussumere il caso concreto sotto una fattispecie astratta prevista dal legislatore; le tecniche del decidere si aprono al bilanciamento, ai rapporti con le Corti sovranazionali, alla ricerca di una guida nella nomofilachia della Suprema Corte di cassazione  e nell’interpretazione conforme offerta dalla Corte costituzionale.

Notevole pregnanza assumono i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, tutti consoni a modulare le conseguenze della decisione e a soppesare le implicazioni delle scelte giurisdizionali.  

Il mutamento del modello di giudice va analizzato anche alla luce di una profonda evoluzione dell'ordinamento. 

I fattori di crisi della legge nell'ultimo decennio sono andati manifestandosi con crescente intensità.  Mi riferisco innanzitutto alle difficoltà sperimentate dalla legge nel mantenersi quale fonte di produzione dominante del diritto, con capacità pervasiva e generale, nel regolare e disciplinare gli interessi economici e sociali.  Si registra, dunque, una grave difficoltà di incidere su fenomeni nuovi e complessi; l'istruttoria legislativa appare sempre più inadeguata e spesso la qualità e l'efficacia dei testi normativi e' condizionata dall'urgenza indotta dalla velocità di evoluzione dei fenomeni. La cultura dell'attuazione fa, inoltre, fatica ad affermarsi.

Ma la crisi della legge e" segnata anche da elementi sistemici di portata sovranazionale: l'ordinamento è investito dalla produzione normativa europea e dal ruolo della giurisprudenza delle Corti Europee  e da un più generale pluralismo delle fonti.

Sullo sfondo, intanto, non sempre avvertita con la dovuta attenzione, si staglia la presenza di attori e prerogative nuove, che concorrono all’orientamento del sistema e alla cura delle interrelazioni tra economia e regolazione giuridica.  

Si tratta delle Autorità indipendenti,   che occupano interi settori sensibili, segnati dall’area di fruizione dei diritti fondamentali che necessitano di tutela effettiva. Questa tutela viene assicurata anche con una attività di regolazione, di sviluppo di modelli volti a garantire la massima espansione di valori quali la libera concorrenza (41 Cost.), la riservatezza (penso al Garante per i dati personali) di fronte al diritto di accesso, il risparmio pubblico e privato nonché il credito (art. 47 Cost.), il pluralismo nelle comunicazioni pubbliche (art. 21 Cost.); la gestione di risorse naturali e produttive di valore strategico quali l’energia elettrica ed il gas. Ora, queste Autorità sorte anche per la difficoltà di affidare al solo legislatore la disciplina regolativa di campi in cui la discrezionalità tecnica e le scelte operative assumono un peso e oneri di tempestività rilevanti, sviluppano prerogative assai varie e penetranti.

La giurisdizione vi entra in rapporto, in un primo tempo, solo per giudicare del contenzioso che sorge dal loro  operare: si tratta, tuttavia, di una minoranza, essendo la maggior parte dei controlli sulle misure delle autorità, affidati alla giurisdizione amministrativa. In seguito, tuttavia, il rapporto con i poteri delle Autorità indipendenti si fa più stretto e vario, quasi complementare.

Anche la magistratura requirente ha vissuto una straordinaria evoluzione. Essa ha preso contatto con i nuovi schemi di coordinamento ex art. 6 del d. lgs n. 106 del 2006, nonché con modi nuovi di intendere l’obbligatorietà dell’azione penale, commisurando il principio ad elementi di priorità e di rilevanza, mai compiuti in solitudine e secondo modelli monadici, ma sempre sottoposti ad elementi di codecisione di indirizzo, e di proposta sviluppati dal Consiglio Superiore della Magistratura. Il modello costituzionale a carriere unificate, sottoposto pure a varie critiche nel corso degli ultimi anni, continua a portare con sé una tendenziale attrazione della figura del pubblico ministero in un’area speciale di autonomia, percorsa anch’essa da elementi di indipendenza e di garanzia fissati dalla legge (Art. 107, comma 4, Cost.).  

Dunque, il tradizionale binomio legislazione - giurisdizione va evolvendo nella direzione di un vero e proprio trinomio: legislazione, giurisdizione, regolazione.  Il Consiglio Superiore e' dunque chiamato anche ad assecondare questo processo di integrazione di funzioni   differenti che non possono non essere tra di loro coordinate.

La Consiliatura in corso e l’attitudine riformista.

Alla Consiliatura che  è toccato segnare un tempo nettamente diverso e nuovo, allineando l'esercizio delle funzioni consiliari alle evoluzioni del ruolo del giudice e ordinamentali che ho sopra  sinteticamente descritto.

Il Consiglio ha assunto un ruolo di marcata proiezione esterna: tende a sviluppare un sistema di governo autonomo dal profilo attivo nei consessi internazionali, in particolare nelle sedi di incontro e scambio di esperienze autonome tra i Consigli giudiziari dei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Il CSM va proponendo modelli organizzativi con i quali concorre all’amministrazione della giustizia in Europa, non arrestandosi sulla soglia della mera tutela delle prerogative del singolo magistrato.

E' andata quindi sempre più sviluppandosi la valorizzazione di protocolli di buone pratiche nella gestione dei procedimenti di particolare rilievo, di forme di soft law che incidono a fondo sulle prassi organizzative e, in definitiva, anche sui diritti fondamentali delle persone. Si pensi all’intento del governo autonomo di guidare i criteri e i procedimenti per consentire o vietare la divulgazione di conversazioni captate nel corso di investigazioni e che hanno ad oggetto dati sensibili dei cittadini, anche non direttamente sottoposti ad indagini. Oppure alle linee guida sulla motivazione semplificata  e sullo spoglio in appello , o a quelle sulla specializzazione per i reati di violenza di genere e sulla comunicazione giudiziaria  che sono in fase di redazione.

Dunque, un Consiglio Superiore che può accostarsi alla definizione di un governo autonomo intenzionato ad esplorare i limiti massimi delle proprie funzioni, così da perseguire anche l’efficienza e il buon andamento degli uffici giudiziari. Sembra, in questa fase, superata quella dicotomia tipica dei primi anni di vita dell’istituzione consiliare, secondo cui al Ministro compete di amministrare giustizia fornendo mezzi, risorse e gestione; il Consiglio si limitava ad occuparsi dello stato giuridico dei magistrati e ai “cinque chiodi” descritti nell’art. 105 Cost., secondo la formula impiegata da Meuccio Ruini in Assemblea Costituente.

Soprattutto, occorre tornare sui termini di un ruolo, quello del Consiglio, che si dispiega in una sistema tripartito di funzioni in cui è divenuta chiara la necessità di coltivare punti di coordinamento e di dialogo tra l’attività legislativa, la stessa giurisdizione e i nuovi poteri regolatori. Si tratta di una profonda mutazione che induce il Consiglio a dotarsi di nuovi strumenti di indirizzo verso gli Uffici giudiziari, a promuovere un’azione profonda di osmosi tra le tutele giurisdizionali e  le scelte regolatorie sempre più variegate e complesse.

Questi nuovi spazi aperti dall’esigenza di una proiezione esterna si misurano anche nello sviluppo di apposite norme regolamentari che gettano ponti tra Consiglio superiore e poteri amministrativi affidati alle Autorità indipendenti di settore. E’ questo il caso dell’articolo 85 del Regolamento consiliare che delinea una traccia di questi rapporti di collaborazione tra poteri regolatori e governo autonomo.

Dunque coordinate nuove e orizzonti larghi che, a loro modo, contribuiscono a fugare una delle grandi preoccupazioni dei Costituenti: quella che il CSM divenisse luogo autoreferenziale e chiuso ermeticamente, isolato. Ogni rischio di isolazionismo, peraltro, deve essere scongiurato tenendo a  mente due elementi. Il primo è che intraprendere nuove vie - su tutte anche quella delle relazioni giudiziarie europee ed internazionali per la diffusione della legalità e dell’indipendenza dei giudici - non può far trascurare le funzioni precipue e tipiche del CSM.

Questa consiliatura ha saputo far fronte al più esteso e massivo ricambio della dirigenza giudiziaria dell’ultimo trentennio. Un segno, questo, che il CSM deve rimanere al controllo fermo dell’ordinamento giudiziario, imprimendo indirizzi e compiendo scelte con costanza e secondo le ricchezze culturali tipiche dell’amministrare per collegi. Una formula, quest’ultima, oltremodo rara ma di cui il Consiglio rappresenta, forse, uno degli idealtipi costituzionali.

Il nuovo Regolamento come specchio di un mutato concetto di autogoverno. La radicale modifica del regolamento del Consiglio Superiore della Magistratura, approvata nell’autunno del 2016, ha rilanciato, in particolare, il tema dei suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato e della sua posizione nel quadro costituzionale. Ciò accade in una fase in cui si intravedono notevoli e numerosi rivolgimenti che mutano il panorama in cui si inscrive l’azione dei giudici ordinari e, quindi, dello stesso Consiglio Superiore.

I contenuti della novella regolamentare:

a.      sfiorano i punti di approdo della dottrina sul Consiglio Superiore ed incidono sulla legittimazione politica e collettiva del CSM;

b.     ne delineano una posizione nuova rispetto all’organizzazione dei servizi di giustizia;

c.      rideterminano alla radice i rapporti tra il Consiglio e il complesso delle istituzioni statali; in particolare le Autorità indipendenti dotate di poteri di regolazione.

Il superamento di una lettura delle prerogative del CSM come mera difesa e presidio statico dell’ordine giudiziario ha schiuso scenari vasti e inediti. Interventi di indirizzo rivolti agli Uffici giudiziari hanno offerto e diffuso i modelli nuovi dell’organizzazione del lavoro, ampliando notevolmente gli ambiti di supporto del CSM verso l’intero ordine giudiziario.

Beninteso, il Consiglio non ha mai esondato delle proprie funzioni, interpretando disposizioni di legge o imponendo modalità e direzioni per l’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Ha invece propalato la cultura dell’organizzazione giudiziaria, suggerito modelli per la gestione dell’arretrato e per le scelte compiuti dai capi degli Uffici; ha sviluppato in particolare ipotesi di organizzazione per gli uffici requirenti, ha coltivato nuovi concetti di benessere organizzativo; ha implementato gli schemi di coordinamento e l’apertura verso le giurisdizioni speciali; non ha mancato di offrire tracce per lo sviluppo della specializzazione come guida nei percorsi di carriera, d’intesa con la Scuola Superiore della magistratura.

Dunque, un nuovo ruolo del Consiglio che corrisponde alle mutate aspettative che gravano sulla giurisdizione. Parafrasando una celebre frase di Walter Bagehot, può dirsi che il segreto che rende efficace il ruolo del CSM nell’ordinamento è nella stretta unione e vicinanza con l’ordine giudiziario che amministra. Questa vicinanza e sensibilità, che rende le funzioni di autogoverno serventi verso l’ordine giudiziario, non deve, tuttavia, divenire immedesimazione; altrimenti si rischia la chiusura difensiva e si cade nella torsione corporativa tanto temuta dai Costituenti; la vicinanza con l’ordine giudiziario, viceversa, deve tradursi in una costante attività di consiglio, di sprone e indirizzo attivo, di ammonimento e correzione delle soluzioni elaborate dai singoli magistrati nella gestione dei flussi di contenzioso, cioè della domanda di giustizia e nella predisposizione di adeguate e stabili risposte.

Si è compreso, nell’ultimo triennio, che questo ruolo non va esercitato solo a difesa e protezione dell’indipendenza; esso deve farsi volano di autonomia attiva, perché deve essere orientato ad incontrare le esigenze e le aspettative di rendimento dei cittadini.

È allora evidente che in questo legame tra Consiglio Superiore e ordine giudiziario si pone anche il rilevante problema della legittimazione della magistratura, del modo in cui è percepita a livello diffuso, nella coscienza collettiva. Si coglie, pertanto, l’importanza della questione, il suo valore dirimente verso il grande fondamento democratico della separazione dei poteri e dell’esigenza di tutela e  garanzia dei diritti fondamentali.

Il tema delle componenti associate ed al loro peso in Consiglio.

a. La fisiologia del collegio di governo autonomo e le appartenenze dei componenti togati. La morfologia di un ordine – cioè di una pluralità di individui detentori di un potere quale quello giudiziario – non può che tendere ad un’organizzazione per gruppi e componenti, legate naturalmente da una consonanza di vedute e di concezioni, anche culturali, della vita magistratuale. Talvolta troppo semplicisticamente accostate al problema principale di funzionamento del Consiglio, le componenti associate ne hanno fatto la storia e conformato il volto.

b.     I rischi di degenerazione. Come tutte le aggregazioni con uno scopo comune anche quelle che si suole chiamare “le correnti” possono dar vita a fenomeni deteriori. Lungo la traiettoria di vita del Consiglio Superiore, vi si sono ricollegate le più negative tendenze che hanno visto protagonisti, fuori e dentro le aule parlamentari, i partiti politici: la tendenza spartitoria, l’occupazione acquisitiva dei posti di maggior rilievo all’interno della vita giudiziaria del Paese; la presunta tendenza a garantirsi reciproca tutela contro tentativi di ridimensionamento; il corporativismo difensivo di privilegi e persino di aree di irresponsabilità.

c.      I fattori critici del correntismo. Si tratta di una sorta di proiezione delle frequenti critiche rivolte al partito politico. Se questo, ai sensi dell’art. 49 Cost. ha scontentato nella missione di far da canale per la partecipazione di massa alla politica nazionale attraverso i sistemi elettorali tipici delle democrazie rappresentative, alle componenti associate in magistratura sono ricondotte le responsabilità dell’inefficienza della gestione dei servizi di giustizia e persino l’appiattirsi su ideologie prossime a quelle dei partiti politici, dei quali, tuttavia, mancherebbero di generalità di fini, e metodo democratico di organizzazione.

d.      Le spinte verso la costruzione di un argine. Vaste aree di insofferenza verso le tendenze correntizie hanno fatto sì che contro di esse si coagulasse un intento arginante che, tra l’altro, ha visto non di rado convergere anche la politica generale, talvolta animata da inconfessabili intenti di depotenziamento del Consiglio o di rafforzamento della componente laica nel suo seno. La lotta alla deriva correntizia – di cui pure non sempre si sono avute chiare la natura e gli effettivi difetti – ha sempre trovato la sua via principale nelle proposte di modifica della legge elettorale della componente togata del CSM. E non può sfuggirne la ragione che risiede nell’ipotesi che sottraendo ai gruppi di magistrati la composizione del Plenum consiliare, questo si sarebbe potuto meglio orientare a valori di neutralità, oggettività, merito nel incidere sui percorsi di carriera dei magistrati. Se non che, le infinite varianti sperimentate in punto di tecniche di elezione potrebbero suggerire che se non il problema, quantomeno il metodo per risolverlo, non si trovi in queste soluzioni di ingegneria elettorale. E ciò da un parte per il classico adagio per cui ogni sistema partitico retroagisce adattandosi a qualunque regola elettorale gli si imponga. D’altra parte, si affaccia l’ipotesi anche di dover correggere gli obiettivi: dal perseguire la lotta al correntismo con le riforme elettorali, si dovrebbe passare a mitigarne gli eccessi di influenza ricorrendo agli anticorpi di cui la Costituzione ha provvisto il CSM e a varare le opportune modifiche del regolamento interno che disciplina i lavori consiliari.

Ruolo del Vicepresidente del Csm.

Affido la parte finale di queste considerazioni al ruolo del vicario del Capo dello Stato in Consiglio e allo sviluppo di metodo che ha segnato il CSM negli ultimi anni; non certo per cedere ad una compiaciuta autoreferenzialità, ma perché, tra gli istituti che in Assemblea Costituente, vennero congegnati per garantire un “soffio vitale esterno” alle funzioni di governo autonomo della Magistratura, questa rappresenta forse una delle più delicate.

a.     Un elemento di guida esterna, ma vicaria. In effetti, il vice presidente del Consiglio Superiore è posto ad un crocevia complesso, dato che – come è stato detto – pare a sua volta, come i Presidenti di Assemblea parlamentare, una sorta di Giano bifronte. Per un verso, il vice presidente è rivolto a interpretare il ruolo in continuo raccordo con il Capo dello Stato. Egli, infatti, concorre a deresponsabilizzarne gli atti in ossequio all’art. 90 della Costituzione.

Per altro verso, però, le funzioni impongono una condotta attentamente modulata a disimpegnarsi tra Scilla e Cariddi. Da una parte, il rischio dell’autoreferenzialità del Consiglio che può determinarsi quando la dominanza numerica dei componenti togati rischia di determinare una deriva di carattere corporativo o di far emergere condotte o logiche spartitorie tra le correnti associate rappresentate in Plenum. Dall’altra parte, però, vi è da garantire l’efficienza e il buon andamento delle funzioni proprie disciplinate dall’art. 105 della Costituzione.

b.     Compiti ed aspettative convergenti sul Vice presidente. Dunque, il ruolo è impregnato di molteplici aspettative e tensioni: garantire un soffio vitale esterno come primus inter pares tra i laici; mediare tra le diverse anime rappresentate in Consiglio; assolvere a funzioni esterne di raccordo, rappresentanza e leale collaborazione con gli altri attori dell’ordine giudiziario.

In certa misura, ascoltare ed operare perché tutti i magistrati ordinari trovino nel Consiglio un punto di riferimento e di tutela che ne escluda l’isolamento e ne sostenga quel tratto tipico della funzione magistratuale che è la soggezione soltanto alla legge, nel fronteggiare le notevoli responsabilità dell’esercizio della giurisdizione.

La figura vicepresidenziale affiorò in Costituzione come frutto di una scelta intermedia tra soluzioni decisamente differenti e tra loro divergenti. Del pari, si sa che si tratta di una funzione dai tratti assai originali nel panorama delle Costituzioni democratiche contemporanee. Né può nascondersi che, come tutti i munus pubblici monocratici, risente della personalità e dell’estrazione culturale della persona che ricopre l’incarico.

Credo, comunque, che si possano riconoscere alcuni valori cui il vice presidente dovrebbe tendere, fermo restando che occorre che egli , pur non recidendo la sua estrazione culturale e parlamentare, non ne sia influenzato in alcun modo, poiché nessun vincolo di mandato, neanche tenue o suggerito, può gravare su un incarico che, se è certamente riduttivo ricondurre – come ho tentato di chiarire sopra - alle categorie generiche della neutralità, deve essere esercitato in modo del tutto libero e incondizionato. Resta la certezza di un compito non facile di dominare la complessità e favorire il buon andamento dell’ordine giudiziario senza richiamarsi – ed è una fortuna – a schemi rigidi di gerarchia, indirizzo culturale, funzioni e poteri uniformanti. D’altra parte la natura del giudiziario come potere – ordine diffuso, lo preclude in radice.

Una sfida culturale affascinante, dunque. E delinearne i tratti - oltre ad essere utile per rendere più chiaro a me stesso il compito cui assolve il Consiglio quotidianamente - mi auguro sia stato di un qualche ausilio anche per voi, al fine di cogliere le molte sfumature che pongono l’ordine giudiziario in continua e vicendevole relazione con le attività e le funzioni del Parlamento e con tutte le articolazioni del sistema costituzionale.

In definitiva, si giunge circolarmente da dove si era presa le mosse, ricordando che il Consiglio “rispetto all’ordine giudiziario si pone come strumento di garanzia dell’autonomia; rispetto al singolo giudice come strumento di attuazione dell’indipendenza; nell’una e nell’altra prospettiva come strumento di attuazione della imparzialità” (F. Bonifacio – G. Giacobbbe, Commentario Branca della Costituzione italiana, art. 104).

A ciò mi piace aggiungere, in chiosa finale, che queste funzioni tanto rilevanti devono essere adempiute senza consentire chiusure corporative e senza che il CSM possa farsi indirizzare da forze o pressioni esterne. Un equilibrio sottile, dunque, perché orientato a mantenere il contatto con molti e complessi punti di riferimento e con finalità chiare e tipizzate.

In questo, ancora una volta, si rivela l’unicità di questa complessa e delicata istituzione, uno dei regali più preziosi dei nostri Padri Costituenti che mi piace ricordare nel 70.mo anniversario dell'entrata in vigore della carta costituzionale.