17 Luglio 2017


Intervista a Giovanni Legnini - «Lasci la toga chi sceglie la politica» - «Le toghe che fanno politica restino fuori dai tribunali»

di Sara Menafra

Presidente Legnini, due giorni fa il Senato l'ha ascoltata su un tema perennemente attuale: il rapporto tra politica e magistratura e in particolare il disegno di legge che dovrebbe regolare candidature e rientro in carriera. Com'è andata? «Bene. Ho avuto l'opportunità di esporre la posizione chiara e unitaria del Csm, definita con un atto deliberativo del plenum sin dal 2015. Quella di veder approvata finalmente una disciplina organica sui magistrati in politica che definisca in modo compiuto le condizioni di accesso agli incarichi elettivi e di governo, anche locale, e le modalità di reingresso nei ruoli della magistratura. E un'esigenza che fu posta in modo molto preciso dal Consiglio, con una proposta che costituisce una novità per l'organo di governo autonomo della magistratura».
Come giudica il testo di legge in discussione? «I disegni di legge di iniziativa parlamentare precedono la deliberazione del Csm, ma posso dire che, dopo due letture, il parlamento è pervenuto a definire un testo complessivamente positivo. Il testo risponde all'esigenza di una disciplina organica della materia. Permane però , a mio avviso, un punto debole».
Quale? «Parlo della disciplina del reingresso in ruolo del magistrato che ha compiuto un'esperienza politica. L'auspicio che ho formulato, e che corrisponde al contenuto della delibera del Consiglio, è che si possa approvare una norma che impone a chi abbia ricoperto un incarico elettivo o di governo, tanto più se prolungato, di non tornare a fare il magistrato, optando per altre funzioni, quali l'Avvocatura dello Stato, il ministero della Giustizia o altre pubbliche amministrazioni. Penso che tale disciplina, se ben calibrata, possa essere compatibile con la previsione dell'articolo 51 della Costituzione secondo il quale, voglio ricordarlo, chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro».
Siamo sicuri che sia una proposta popolare fra i magistrati? «C'è un largo consenso nella magistratura su tale proposta. La riprova è che oltre alla delibera del Csm, anche l'Anm si è di recente espressa con una posizione del tutto analoga». E in Parlamento? «Ho registrato una grande attenzione su questo tema e spero che la necessità di modifica del testo possa incontrare il consenso di forze sia di maggioranza che di opposizione. Penso che il parlamento abbia un opportunità storica : quella di chiudere una discussione che dura da decenni, con un'opzione netta e compatibile con le previsioni costituzionali . Peraltro, si potrebbe prevedere una norma transitoria per coloro che hanno assunto incarichi elettivi o di governo prima dell'entrata in vigore della nuova legge».
In particolare nel Pd, alcuni magistrati fuori ruolo hanno detto di voler poi tornare a indossare la toga. «Non posso, ovviamente, essere io l'interprete della volontà delle forze politiche, ne' di singoli parlamentari. Posso dire invece che sarebbe un peccato non cogliere questa opportunità, visto che sia l'organo di governo autonomo che la magistratura associata, si sono espresse con chiarezza, peraltro sottolineando la necessità di rafforzare la percezione dell'indipendenza della magistratura. E cosa suggerisce? «Si tratta di trovare un equilibrio più avanzato tra le condizioni per l'accesso agli incarichi politici e le norme che disciplinano il reingresso. Un eccesso di barriere alla candidabilità rischierebbe di compromettere l'impegno dei magistrati nelle istituzioni, un diritto, è bene ricordarlo, tutelato dalla Costituzione. E una volta stabilito che chi fa una scelta di militanza politica non dovrebbe tornare indietro, si attenuerebbero le ragioni per porre limiti rigidi alla candidabililtà».
Non è contraddittorio che da un lato il Csm dica questo e dall'altro sia bloccato da settimane sul caso Pordenone, dove un ex parlamentare si candida a guidare il Tribunale? «Si tratta di una proposta sulla quale dovrà decidere il plenum. Per Lanfranco Tenaglia, a legislazione vigente, non si pone un problema di legittimazione ma di mera opportunità, che il Plenum non mancherà di vagliare tenendo conto di ogni elemento, anche del fatto che è rientrato in ruolo da quasi cinque anni ed esercita le funzioni giudiziarie in un luogo molto lontano dal suo ex collegio elettorale. E la sua condizione non sarebbe diversa nemmeno se fosse in vigore la legge in corso di esame in Parlamento, che prevede il divieto di ricoprire incarichi direttivi solo nei tre anni successivi alla cessazione del mandato parlamentare».
 Ma allora ha un po' ragione Piercamillo Davigo che ha lasciato la giunta unitaria dell'Anm proprio sul caso Pordenone? «Non spetta a me commentare le ragioni della scelta della corrente del Presidente Davigo. Posso solo dire che sulla disciplina dei magistrati in politica la posizione di Csm e Anm è analoga». Si può vietare ad un magistrato fuori ruolo di tornare al suo posto? «Sui magistrati eletti o nominati in incarichi di governo, ho già detto. La nostra posizione è che a fronte di un'esperienza prolungata, che implica quindi una percezione consolidata del ruolo politico del magistrato, si possa prevedere il transito ad altre amministrazioni. Per altre tipologie di fuori ruolo, quelli non politici ma tecnici, di certo non si può vietare il rientro in magistratura». A chi sarà affidata la valutazione caso per caso? «E' un nodo che deve sciogliere il legislatore».
Per la stessa logica, secondo lei, sarebbe opportuno che i magistrati che decidono di candidarsi si astenessero nel periodo precedente all'ingresso in politica? Di Matteo, ad esempio, ha dichiarato che accetterebbe un incarico di ministro. «Si tratta di un tema adeguatamente affrontato nel disegno di legge in discussione al Senato. Quanto al dottor Di Matteo, pensavo fosse interessato a svolgere la sua funzione alla Procura Nazionale Antimafia, dopo la nomina di recente disposta dal Csm, peraltro dopo reiterate istanze da lui formulate. In ogni caso, Di Matteo, a legislazione invariata, è libero di fare le sue scelte come ogni altro magistrato».
Alcuni sondaggi recenti, uno dei quali pubblicato dal Messaggero, dicono che la fiducia nell'indipendenza dei magistrati è ai minimi. «La proposta formulata rafforzerebbe la fiducia dei cittadini nella magistratura. Così come un recupero di certezza e tempestività nella risposta alla domanda di giustizia». Dunque, una legge prioritaria? «Ritengo di sì, anche se diverse e ugualmente prioritarie sono le riforme sulla Giustizia in corso di esame in Parlamento. Giovedì scorso, dopo l'audizione, abbiamo avuto altri due appuntamenti, il primo al Csm sulle Agromafie, con la partecipazione del ministro Martina, che ha assunto l'impegno di sottoporre al Consiglio dei Ministri la riforma dei reati agroalimentari elaborata, su incarico del Ministro Orlando, dalla Commissione Caselli. Il secondo alla Camera, per presentare un libro sul diritto delle procedure concorsuali, dove abbiamo tutti evidenziato che l'approvazione della riforma della legge fallimentare è una priorità. Una nuova disciplina della risoluzione delle crisi di impresa è un'urgenza per il nostro Paese».