08 Marzo 2018


Intervento in occasione del convegno organizzato presso il Palazzo di Giustizia di Catania dal titolo "Legislazione, giurisdizione e regolazione"

Scuola Superiore di Catania - 02 Marzo 2018

Premessa.

Il titolo di questo mio intervento merita qualche illustrazione preliminare. L’intento è quello di evidenziare le interazioni tra le tre funzioni principali dell’ordinamento giuridico italiano: l’attività legislativa del Parlamento e del Governo, quella affidata alla giurisdizione, dunque ai magistrati requirenti e giudicanti, infine quella nelle mani dei poter neutrali di regolazione: le Autorità indipendenti.

Dall’intersezione di queste tre aree di incisione del mondo del diritto, discendono fondamentali effetti verso le grandezze dell’economia reale, così come nei riguardi dei diritti costituzionali.

La tesi di fondo è, dunque, che i complessi rapporti tra sistema economico e mondo giuridico ruotano intorno a queste tre dimensioni. In realtà, si tratta delle leve alla base della nostra democrazia costituzionale. Pertanto, appare opportuno anche soffermarsi su una domanda assai delicata: esiste un modo perché queste tre cruciali funzioni possano farsi complementari, trovare basi di integrazione e coordinamento reciproco?

Anticipo subito che la risposta affermativa rappresenta anche un obiettivo di fondo  che l'intero sistema ha il dovere di perseguire; un fine alto che  non e' stato sufficientemente coltivato nel recente passato. Talvolta,  infatti, sembrano prevalere automatici riflessi di autoreferenzialità,  così da determinare  esercizi delle tre funzioni tendenti all’isolamento, ad un agire non sempre orientato alla condivisione degli obiettivi del sistema.

A conclusione di un percorso che delineerà  brevemente l’evoluzione storica delle tre funzioni e la  crescente rilevanza dei loro esercizi in direzione univoca, tenterò di individuare alcune linee pratiche per una possibile integrazione e convergenza tra l’attività di legislazione primaria, le direttrici di esercizio dello jus dicere, la multiforme potestà di regolazione in mano alle Autorità indipendenti.

Le tre fasi di sviluppo cronologico.

Il modello tradizionale nello Stato liberale: le garanzie dei diritti e il governo dell’economia tramite la legge parlamentare e la giurisdizione.

Le garanzie dei diritti e il primato della legge nello Stato liberale hanno storicamente assunto una dimensione solida. Infatti, la nascita degli Stati europei e il loro progressivo consolidamento, fino al primo decennio del ventesimo secolo, si fondava sul crescente  sviluppo del ruolo del Parlamento. La sua graduale assunzione di responsabilità politica, al fianco e a supporto dei Governi, si fondava anche sulla  forte investitura della legge come strumento di governo dell’economia e dei bilanci pubblici.

Al lato di questo percorso, si assisteva al progressivo formarsi del ceto magistratuale. L’esperienza evolutiva, anche in questo ambito, è tutto sommato comune all’intera Europa continentale. Gli appartenenti all'ordine giudiziario, muovendo dalla generale categoria dei funzionari pubblici, andavano sempre più professionalizzandosi e specializzandosi e, al contempo, si emancipavano dallo storico controllo che li vedeva, in precedenza, dipendenti dalle Monarchie e poi,  comunque, non estranei alle influenze dei Governi.

L’evoluzione della forma di Stato nella dimensione complessa dello Stato pluriclasse novecentesco.

L’ingresso del Novecento segna un avvertita percezione di mutamento che, in seguito all’immane tragedia del primo conflitto mondiale, presenta l’avvento di fattori di  di crisi e di incertezza e l’affacciarsi sulla scena di nuove domande ed esigenze.

L’evolvere delle dinamiche sociali pone la questione dell’allargamento delle basi di esercizio del potere pubblico, mentre, a cavallo tra le due guerre si avvertono fenomeni di portata grandiosa e complessa. La crisi economica del 1929 apre la riflessione sull’ingovernabilità dei cicli economici e gli effetti destabilizzanti delle loro torsioni sulla vita sociale e civile degli ordinamenti.

Emergono, con la Costituzione di Weimar, i primi statuti di protezione dei diritti sociali; l’elettorato attivo si fa sempre più aperto e non condizionato al reddito né al genere di appartenenza; si delinea il ruolo dei giudici costituzionali a difesa delle Carte fondamentali contro i rischi delle scelte estemporanee delle maggioranze parlamentari. Le condizioni di certezza e stabilità assicurati  e guidati dalle classi egemoni dell’epoca liberale, iniziano a sgretolarsi  con  l' irrompere di fenomeni politici che tendono a mobilitare le masse, ad impiegare la propaganda, a tentare di scavalcare le intermediazioni operate dai partiti tradizionali.

In sostanza, la borghesia mercantile che aveva dominato l’epoca precedente perde il controllo e l’esclusiva del potere pubblico nelle sue varie forme, a vantaggio di forze nuove che si coagulano intorno ad ideologie politiche differenti e dal dirompente effetto di frattura. Il crollo delle certezze elaborate dalla teoria e dall’ordine weberiani conduce anche all’ideazione di modelli di gestione dell’economia differenti: le nazionalizzazioni e il corporativismo anticipano la preparazione alla conversione nell’economia di guerra, che segnerà il mondo dalla fine degli anni trenta fino all’esaurirsi del secondo conflitto mondiale.

Il contesto post - moderno: i modelli di regolazione e di gestione dei nuovi diritti e dell’economia globale.

La storia dei rapporti tra diritto ed economia nel secondo Novecento si fa gradatamente più complessa già a cominciare dalla prima parte della guerra fredda. Modelli di Stato e di economia si contrappongono in ogni continente, mentre l’Europa occidentale vive prima la stagione dello sviluppo economico sull’onda lunga della ricostruzione post - bellica.

La prima anticamera verso l’epoca post - moderna si scorge  attraverso un decennio, quello degli anni sessanta del Novecento, colmo di contraddizioni, spinte evolutive e regressioni.

Si affacciano sulla scena europea e nazionale le divisioni politiche sempre più a fatica contenute, almeno in Italia, dalla  cosiddetta Repubblica dei partiti (P. Scoppola). Sebbene questa riesca, in un ultimo veemente sussulto, a stimolare ed assecondare la parabola della crescita economica del Paese, pare esaurire  vitalità ed incisività tra la fine degli anni settanta  e gli anni ottanta del secolo scorso.

Importanti  mutamenti degli equilibri internazionali, lo sviluppo del processo di integrazione continentale, l’involuzione delle logiche e della pratiche della vita pubblica e politica del Paese, conducono in Italia  ad una trasformazione  degli assetti e degli equilibri politici. Il panorama partitico negli anni novanta  si trasforma e con esso anche gli schemi nati nell’epoca del  cosiddetto consociativismo. A fronte di tali cambiamenti di portata storica  l’ordine giudiziario si trova investito improvvisamente da grandi aspettative, da una fiducia e una forma di legittimazione sino ad allora sconosciute ed iniziano ad essere formulate le prime accuse di indebita supplenza, rispetto ad un circuito politico che pare sempre più  in crisi.

Si accumulano, quindi, contraddizioni  che investono  sia gli schemi di acquisizione del consenso politico, che le grandi scelte di politica economica.  Un quadro, quello appena tratteggiato, che prelude all'indebolirsi dei confini nazionali, della sovranità monetaria statuale in Europa, dell’economia prima solo più aperta e vasta, poi, gradatamente, influenzata dalla dimensione  globale e digitale.

Nel frattempo, diviene sempre più  evidente che la vasta interrelazione dei fenomeni sociali e dei rapporti economici rende inadeguata l’esclusiva prospettiva degli Stati nazionali. Sarà la grande crisi economica  che si apre nel 2008 su base globale  a  determinare una lunga  spirale di recessione,  determinando una nuova inaspettata crescita delle povertà e delle diseguaglianze.

Nel nostro Paese, il decennio in corso si apre con tre grandi fenomeni percepiti in  modo netto: le  gravi difficoltà nel far uscire l’economia nazionale dalle dinamiche di decrescita e stagnazione; la crescente inadeguatezza degli strumenti della legislazione fondata sulla centralità parlamentare; l’apparire e il proliferare di autorità indipendenti cui è gradatamente affidato il compito di mettere in sicurezza settori sensibili, nonché  aree nevralgiche del sistema economico e di fruizione dei diritti fondamentali.

La consapevolezza dell’interdipendenza tra economia, effettività del diritto e calcolabilità del processo.

Intanto, l’osmosi con la dimensione europea  e  i molteplici effetti della grave recessione andavano trasformando  il peso e la funzione della giurisdizione. Dagli organismi internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale  e gli attori del governo dell'Unione europea, avanza la consapevolezza del fatto che lo sviluppo e la stabilità economica dipendono anche dal grado di certezza, di prevedibilità e di calcolabilità che le magistrature ordinaria e speciali riescono ad assicurare, nella percezione dell’impresa e degli attori di un sistema sempre più aperto e che oscilla tra spazi di de-regolazione di fatto e fortissima fluidità. Una consapevolezza, questa, che trova riscontro anche nei documenti programmatici di economia e finanza del nostro Paese, laddove in misura inedita e  crescente si afferma la necessità delle riforme per migliorare il sistema giudiziario, considerato una delle leve fondamentali  alla  faticosa ricerca di una nuova stagione di crescita.

In linea generale, i rapporti tra l’economia e  l'ordinamento giuridico sono stati sempre  sofferti. Gli studiosi e i pratici di due materie in potenziale e strisciante conflitto, non da oggi, si guardano con una certa diffidenza. Gli economisti e i giuristi spesso sono stati portatori di una cultura e di soluzioni diverse o contrapposte. Ciò nonostante, nell’ultimo decennio, è andato determinandosi un repentino e pratico accostarsi delle istituzioni  economiche e finanziarie mondiali ai problemi connessi con i sistemi nazionali di giustizia. Non stupisce, dunque, che  gli organismi internazionali a cui ho fatto sopra riferimento insieme alla Banca Centrale Europea,  conferiscano crescente rilievo allo studio e alla valutazione dei rendimenti dei sistemi di giustizia dei singoli Paesi: ormai  si tratta di un fattore determinante per un sano contesto di crescita dell'economia. Cito, ad esempio, il rapporto Doing Business per l’anno 2016, da parte del F.M.I., dal quale si rileva che la riforma del sistema giudiziario è essenziale per garantire la soddisfazione coattiva e tempestiva dei diritti e dei crediti insoluti.

Un documento  che non si limita, dunque, a ribadire genericamente l’interdipendenza tra le variabili economiche e alcuni punti nevralgici dell’ordinamento giudiziario. Esso in realtà si sofferma sull’esigenza di imprimere alcune svolte alle trasformazioni del sistema giudiziario. Si indicano, infatti, cinque mutamenti di sicuro valore per l’intero sistema economico nazionale: lo sviluppo di indicatori di performance giudiziali e di buone pratiche; la revisione del sistema di giustizia di secondo grado; l’esigenza di una razionalizzazione del numero e della qualità dei casi che giungono al giudizio della  Corte Suprema; il rafforzamento, in chiave di specializzazione, dei Tribunali d’impresa. Ciò nel presupposto che le grandezze dell’economia reale sono oltremodo sensibili all’offerta di giustizia e, in particolare, alla prevedibilità dei tempi di risoluzione delle controversie e alla relativa stabilizzazione degli indirizzi giurisprudenziali.

Tale interdipendenza  va, tuttavia, considerata tenendo conto di una visione  più ampia.

Il diritto, infatti, ormai incide sulla vita delle persone attraverso le tre macro – aree cui mi  sono riferito in apertura: quella della legislazione, quella della regolazione, quella della giurisdizione.

Osservare gli sviluppi di ciascuna delle componenti di questo trinomio di funzioni, anche rispetto all’evolvere dei fondamentali dell’economia nazionale, può essere di aiuto, a condizione, tuttavia, che si comprenda come l’attività regolatoria, quella giurisdizionale e quella normativa non possano essere considerate quali monadi scisse dal complesso, ma devono essere analizzate nelle loro profonde interrelazioni reciproche.

Così, i  mutamenti che attraversano le giurisdizioni si rivelano correlati con gli sviluppi del sistema economico: se in precedenza le esigenze di tempestività, certezza e prevedibilità della tutela si scorgevano soltanto sullo sfondo, oggi l’efficienza dell’ordine giudiziario è considerata una determinante sul sistema economico nel suo complesso.

Per il tramite tempestivo e stabile della tutela dei diritti e degli interessi legittimi, infatti, si profilano anche elementi decisivi per lo sviluppo economico e finanziario: la propensione all’investimento estero; le risoluzioni dei conflitti che incidono sulle  decisioni di investimento delle imprese  nazionali e straniere; la propensione all'internazionalizzazione e alla delocalizzazione delle attività imprenditoriali;  la tutela delle condizioni essenziali per lo sviluppo delle imprese quali gli elementi caratterizzanti il Made in Italy e la proprietà intellettuale; il governo delle crisi di impresa e la loro risoluzione; la qualità e il costo del lavoro.

La crisi del binomio classico legge -  giurisdizione come paradigma unico per governare il mondo economico complesso.

Se appaiono sempre più chiare tali decisive interrelazioni, occorre avere altresì presenti i fattori di crisi che sono andati determinandosi lungo la traiettoria storica tratteggiata nella parte introduttiva. Mi riferisco innanzitutto alle difficoltà sperimentate dalla legge nel mantenersi quale fonte di produzione dominante del diritto, con capacità  pervasiva e generale, nel regolare e disciplinare gli interessi economici e sociali. Si tratta di una crisi che si manifesta da tempo, che è  attribuibile ad una pluralità di fattori.

Il primo è certamente da rintracciare in una  marcata crisi di legittimazione del sistema della rappresentanza parlamentare, riconducibile al declinare delle forme inclusive del partito di massa novecentesco, all'affermazione  di visioni carismatiche dell’offerta politica, insofferenti all’intermediazione e alle regole classiche delle dinamiche politiche nazionali. Ma  la crisi della legge è segnata anche da elementi sistemici di portata sovranazionale: l’ordinamento è investito dalla produzione normativa europea e da un più diffuso pluralismo delle fonti, dalla difficoltà di incidere su fenomeni  della vita nuovi  e complessi; da ultimo, dall’inadeguatezza dell’istruttoria legislativa, quale momento di preparazione e di cura della produzione  normativa. Non di rado, la qualità e l'efficacia dei testi normativi  è condizionata dall'urgenza indotta dalla velocità di evoluzione dei fenomeni da regolare.

È da queste ragioni, tra le altre, che origina il fenomeno della riduzione dell'efficacia ed effettività della legge ordinaria, pur in presenza della proliferazione di interventi normativi spesso disorganici e di scarsa attuabilità, che dunque allontana sempre più gli schemi di regolamentazione della vita sociale odierna da quelli conosciuti all’apogeo della statualità liberale.

Intanto, anche le aspettative rivolte alla giurisdizione,  sono andate   mutando e crescendo anche in conseguenza di tale nuova articolazione e difficoltà segnate dalle fonti di produzione del diritto.  Si tratta di evoluzioni che comunque hanno avuto luogo sempre secondo la traccia delineata dalla Costituzione, con riguardo all’ordine giudiziario.  Mi riferisco all'equilibrio  assicurato dalle norme costituzionali  con riferimento a diversi valori quali: l'indipendenza e l' autonomia dell’ordine giudiziario (art. 104 Cost.); la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.); l'obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.);  la conformazione del giusto processo secondo il modello della parità delle armi, del contraddittorio e della ragionevole durata (art. 111 Cost.);  la funzione  nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione (art. 111 Cost.).

Il ruolo del giudice si è modificato lungo l’arco dell’intera storia repubblicana in dipendenza - e talvolta anche in supplenza - degli spazi  che si rivelavano abbandonati dalla funzione legislativa. Inoltre, il concreto esercizio della giurisdizione  si trova oggi sempre più in un rapporto di coabitazione, a volte diffidente e inesplorato, con i nuovi soggetti dotati di poteri di regolazione, sorveglianza e vigilanza sui settori sensibili.

Il modello di giudice mera “bocca della legge” ha da tempo finito  per mostrare la corda e la Carta fondamentale ha così lasciato emergere un nuovo  profilo della funzione  giudicante, immersa negli equilibri della legalità costituzionale e consapevole della necessità di preservare la propria autonomia e indipendenza, garantendo al contempo un alto grado di efficienza e prevedibilità nel rendere giustizia.

Su queste basi, il giudice affronta il mare aperto della complessità: si trova a dover fare i conti con discipline multilivello, con antinomie normative complesse, con tecniche di disciplina variegate e dedicate alla regolazione di interessi configgenti e  dai notevoli effetti economici riflessi.

Dietro lo stesso caso concreto che è chiamato a giudicare, il magistrato  avverte il profilarsi di profonde conseguenze economiche, talvolta rilevanti per intere aree territoriali, per le prospettive di tutela di beni quali l’ambiente o l’occupazione in interi segmenti di settori produttivi; dunque, un altro fronte su cui si fanno crescenti le implicazioni della decisione giudiziaria sui fondamentali elementi dell’economia.

Di qui, la fine del’ipotesi di limitarsi al solo compito di sussumere il caso concreto sotto una fattispecie astratta prevista dal legislatore; le tecniche del decidere si aprono al bilanciamento, ai rapporti con le Corti sovranazionali, alla ricerca di una guida nella nomofilachia della Suprema Corte di cassazione  e nell’interpretazione conforme offerta dalla Corte costituzionale.

Notevole rilevanza sono andati assumendo  i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, tutti consoni a modulare le conseguenze della decisione e a soppesare le implicazioni delle scelte giurisdizionali.

Sullo sfondo, tuttavia, non sempre avvertita con la dovuta attenzione, si staglia la presenza di attori e prerogative nuove, che concorrono all’orientamento del sistema e alla cura delle interrelazioni tra economia e regolazione giuridica.

Intanto, anche la magistratura requirente ha preso contatto con i nuovi schemi di coordinamento ex art. 6 del d. lgs n. 106 del 2006, nonché con modi nuovi di intendere l’obbligatorietà dell’azione penale, commisurando il principio ad elementi di priorità e di rilevanza, mai compiuti in solitudine  ma sempre sottoposti ad elementi di co-decisione di indirizzo sviluppati dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Dunque, queste traiettorie evolutive lasciano intendere un adeguamento ed una trasformazione assai rilevanti; un processo da interpretarsi come costante perfezionamento, ma che pretende, per essere all’altezza dei nuovi, determinanti punti di contatto con la crescita economica e le esigenze di sviluppo sostenibile e di redistribuzione del benessere sociale, l’elaborazione di modelli per perfezionare l’efficienza del sistema e renderlo adeguato alla domanda di giustizia e tutela dei diritti fondamentali.

La costituzione e l’erompere dell’autorità indipendenti: regolazione giuridica e grandezze economiche.

Tra gli effetti indotti dal flettere della funzione legislativa, il sorgere e il proliferare delle citate autorità indipendenti è certamente uno dei profili più rilevanti che hanno segnato l’ultima parte dell’epoca repubblicana. L’idea che a soggetti dotati di indipendenza e di una particolare preparazione tecnica e specialistica sia assegnata la cura di settori pubblici di notevole rilievo e sensibilità, trova due radici storiche puntuali: l’esperienza del mondo giuridico anglo-americano e il risalente modello derivante dall’istituzione della Banca d’Italia.

Quest’ultima autorità, per quanto considerata in modo variegato quale isola autonoma e sui generis o come modello idealtipico (A. Predieri), rappresenta l’antesignano storico dei modelli di Autorità indipendente, al quale hanno fatto seguito  l’entrata in funzione della Consob, dell’Autorità per la concorrenza e per il mercato, di quella per la garanzia sullo sciopero nei  servizi essenziali, dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni, dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, del Garante per la protezione dei dati personali e la riservatezza, soltanto per limitarsi ai soggetti più rilevanti riconducibili  allo schema delle autorità indipendenti.

Si tratta di Istituzioni con caratteristiche costitutive e di funzionamento molto variegate ma dotate di alcuni elementi minimi comuni.

Tra questi, va considerata la posizione e la tecnica di investitura dei soggetti dotati di responsabilità di guida di ciascuna Autorità che ne assicura l’estraneità dal circuito di indirizzo politico e, quindi, l’indipendenza se non proprio la neutralità.

Va, poi, evidenziata la preposizione alla cura di settori di particolare sensibilità, in cui occorre mantenere un equilibrio costante tra una pluralità di situazioni giuridiche soggettive e valori costituzionali, quali la concorrenza e il mercato, il pluralismo informativo e il rilievo di ambiti di mercato con risorse e  tecnologie in evoluzione e dall’accesso limitato.

Infine, l’attribuzione alle Autorità di prerogative in parte divergenti dagli ordinari poteri amministrativi e che si risolvono in un’attività di regolazione, di inibizione, di accesso diretto a rimedi giurisdizionali, di correzione di provvedimenti amministrativi, di controllo in senso largo. Dall’insieme di tali prerogative, emerge un potere di conformazione regolativa di settori ed ambiti particolarmente incisivi.

A questo contesto complessivo, si è andata aggiungendo, da ultimo, l’istituzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, il cui perimetro di prerogative e ambito di azione è contraddistinto da peculiarità non irrilevanti, trattandosi di funzioni di contrasto e prevenzione ai fenomeni di corruttela.

Lo scostamento dal modello originario delle Autorità è peraltro caratterizzato dall’esaltazione di penetranti ed inediti poteri consultivi, modificativi e autoritativi che hanno ad oggetto le più rilevanti procedure di evidenza pubblica e sono ulteriormente arricchiti da potestà di raccomandazione e indirizzo di portata generale.

In definitiva,  il peso e la rilevanza  delle funzioni e dell’agire delle Autorità indipendenti si presentano straordinariamente incisivi sul sistema economico nazionale, oltre che su alcuni diritti fondamentali.

Il rapporto tra Autorità e magistratura, per lo più, ha seguito lo schema per cui le giurisdizioni ordinaria e speciale sono chiamate a decidere sui provvedimenti adottati dai soggetti neutrali che ledono interessi legittimo o diritti soggettivi dei singoli. Eppure, il crescente numero di ambiti affidato alle Autorità indipendenti, lo scostamento dal modello iniziale registratosi da ultimo con il  nuovo volto dell’ANAC, lasciano intravvedere nuovi possibili rapporti tra poteri di regolazione e giurisdizioni. I due ambiti, in verità, fanno notare un affievolimento dei reciproci confini, facendosi sempre più vicini e complementari.

Le nuove tecniche di integrazione nel trinomio  delle funzioni: sviluppo economico ed effettività dei diritti costituzionali.

I nuovi modelli di collaborazione.

Si è accennato alle nuove frontiere di collaborazione tra i poteri regolatori, giurisdizionali e normativi.

Mentre vanno nei fatti affermandosi  nuove forme di integrazione tra l’attività legislativa e la funzione di regolazione affidata nelle mani delle Autorità indipendenti, sembra profilarsi la necessità di individuare  modelli di cooperazione istituzionale diversi rispetto al passato.

Non più competenze separate e schemi di riparto rigido delle funzioni, ma circolarità delle misure adottate dai soggetti della regolazione, dagli attori della legislazione, dalla magistratura chiamata a giudicare secondo tecniche e regole sempre più evolute.

Si tratta di una necessità che  non può  certo significare indebita commistione tra le attribuzioni costituzionali delle diverse autorità, ma l'affermarsi di una crescente  esigenza di  dialogo ed integrazione tra le reciproche funzioni.  Se ne trova traccia nelle relazioni periodiche e tematiche delle Autorità indipendenti alle Camere e  nello sviluppo  degli strumenti di dialogo giurisdizionale dei giudici con le Corti sovranazionali, specie nei settori decisivi per la stabilità e la crescita economica nazionale.

Tali nuove forme di integrazione sono, dunque, destinate ad incidere  sul recupero della certezza del diritto insieme alla fondamentale funzione nomofilattica  delle Corti Superiori e di quelle Europee.

Si tratta, infatti, di un'esigenza crescente in ciascun ordinamento giuridico nazionale e di un fattore di rilievo per rafforzare la propensione agli investimenti, per garantire maggiori possibilità  al credito, per accrescere la fiducia tra gli operatori economici e di essi nei confronti delle Istituzioni pubbliche. Si scorge, così, ancora meglio  la necessità del dialogo tra economisti e giuristi e l'incidenza del convergere dei diversi saperi sulle grandezze  dell’economia e  del livello di occupazione di un Paese.

Credo sia ora utile, in virtù della funzione che oggi esercito, di fare un breve riferimento al ruolo del governo autonomo della magistratura e agli indirizzi più recenti, che non possono considerarsi estranei al contesto che ho inteso tratteggiare.  

I profondi cambiamenti che investono il nostro ordinamento impongono il superamento di una lettura delle prerogative del CSM come mera difesa e presidio statico dell’ordine giudiziario. Interventi di indirizzo rivolti agli Uffici giudiziari hanno offerto e diffuso i modelli nuovi dell’organizzazione del lavoro, ampliando notevolmente gli ambiti di supporto del CSM verso l’intero ordine giudiziario.

Beninteso, il Consiglio, nell'esercizio delle sue molteplici funzioni e nell'assolvere al fondamentale compito di tutela dell'indipendenza della magistratura, non deve  esondare dalle  proprie funzioni,  interpretando disposizioni di legge o imponendo modalità e direzioni per l’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Sta invece  provando, in quella prospettiva più larga e complessa che ho provato a descrivere, a promuovere una più avanzata cultura dell’organizzazione giudiziaria, suggerendo  modelli per la gestione dell’arretrato e per le scelte compiuti dai capi degli Uffici. Ha provato, con numerose iniziative e risoluzioni consiliari, a  sviluppare in particolare ipotesi di organizzazione per gli uffici giudicanti e  requirenti, ha coltivato nuovi concetti di benessere organizzativo; ha implementato gli schemi di coordinamento e l’apertura verso le giurisdizioni speciali; non ha mancato di offrire tracce per lo sviluppo della specializzazione come guida nei percorsi di carriera, d’intesa con la Scuola Superiore della magistratura.

Dunque, un nuovo ruolo del CSM che corrisponde alle mutate aspettative che gravano sulla giurisdizione. Parafrasando una celebre frase di Walter Bagehot, può dirsi che il segreto che rende efficace il ruolo del CSM nell’ordinamento è nella stretta unione e vicinanza con l’ordine giudiziario che amministra. Questa vicinanza e sensibilità, che rende le funzioni di autogoverno serventi verso l’ordine giudiziario, non deve, tuttavia, divenire immedesimazione; altrimenti si rischia la chiusura difensiva e si cade nella torsione corporativa tanto temuta dai Costituenti; la vicinanza con l’ordine giudiziario, viceversa, deve tradursi in una costante attività di consiglio, di sprone e indirizzo attivo con riguardo alle soluzioni elaborate dai singoli magistrati  e dei dirigenti degli uffici nella gestione dei flussi di contenzioso e dunque favorendo una  più efficacia  risposta all'imponente domanda di giustizia.

Si è compreso, nell’ultimo triennio, che questo ruolo non va esercitato solo a difesa e protezione dell’indipendenza; esso deve farsi volano di autonomia attiva, perché deve essere orientato ad incontrare le esigenze e le aspettative dei cittadini, anche per rinsaldare la loro fiducia nella giustizia e nella magistratura .

È allora evidente che in questo legame tra Consiglio Superiore e ordine giudiziario si pone anche il rilevante problema della legittimazione della magistratura, del modo in cui è percepita a livello diffuso nella coscienza collettiva.

Conclusioni.

Dunque, la chiave perché il legislatore parlamentare superi la fase di profonda crisi in cui si dibatte, risiede nel rilancio dell’istruttoria legislativa aperta, nel rapporto forte con le Autorità indipendenti impegnate nei settori sensibili, nell’ideazione di riforme regolamentari e legislative capaci di rendere più saldo il legame tra rappresentanti e rappresentati, in un rapporto con magistratura e governo autonomo non segnato da antagonismo e  conflittualità endemici.

È del pari anche necessario che l’ordine giudiziario guardi all’efficienza delle risposte che offre alla domanda di giustizia, mentre al Consiglio Superiore compete di proseguire sulla strada della collaborazione aperta con il Ministero secondo la traccia offerta dall’articolo 110 della Costituzione. È la grande sfida per le buone pratiche nell’organizzazione giudiziaria, per la collaborazione nei modelli di formazione giudiziaria, del concorso nella gestione delle risorse dell’Amministrazione della Giustizia.

Ma anche sulle autorità indipendenti, quelle isole di neutralità sensibile cui spetta la regolazione di settore, compete di assumere l’apertura e l’integrazione come stelle polari di un operato che non può chiudersi in se stesso, isolarsi nelle sacche di decisione fondate sulla discrezionalità tecnica. Al contrario, la complessità e l’interazione tra i settori affidati ai poter neutrali deve indurre ad un’apertura, ad una ricerca di terreni di comune confluenza in cui la regolazione possa sostenere e facilitare tanto la giurisdizione posta a valle che la legislazione generale situata a monte.

Occorre allora che queste chiavi evolutive si mantengano stabili e superino anche i momenti di vacatio della pienezza delle funzioni di indirizzo politico (L. Elia), come pure è opportuno che resistano all’alternanza tra soggetti rappresentativi di diversa estrazione culturale e variegata tradizione politica.

Questo bisogno di stabilità e coerenza consiste nella lotta alle pratiche dannose che vanno sotto il nome della sindrome della “tela di Penelope”, ovvero del fare e disfare che, spesso, genera regressioni e rotture nei processi di sviluppo.

L’investimento in capitale umano e culturale, da questo punto di vista, rinnova i termini della illustre teoria di Max Weber: politica come vocazione; apparati serventi e burocrazie professionali ma non sclerotizzate; percezione dei cittadini dell’appartenenza alle funzioni pubbliche animata da spirito di servizio e non quale libertà che degrada ad involucro del tornaconto personale (G. Amato).

Dunque,  profonda adesione a procedimenti amministrativi che si confrontino con la complessità e con la questione determinante del tempo come valore economico vitale, la cultura della giurisdizione come cura dell’ordinamento e non soltanto della singola vicenda di fatto, per quanto umanamente essa sia rilevante e decisiva; il sensibile apprezzamento degli interstizi in cui l’attività di regolazione può spingersi a garanzia dei valori di ardua difesa che l’ordinamento affida alle cure delle Autorità indipendenti.

Queste sono tutte vie da esplorare a fondo nella consapevolezza della sempre più profonda, non più carsica, interrelazione tra sistema economico e decisione politica, tra funzioni costituzionali e sorti del benessere delle persone nelle democrazie pluraliste.