23 Novembre 2017


Intervento del Vice Presidente in occasione dell'incontro di studio dedicato alla memoria di Piero Alberto Capotosti alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella

"Il nuovo regolamento interno del CSM a un anno dalla sua entrata in vigore"

Signor Presidente,

illustri relatori,

colleghi,

signore e signori,

rivolgo un sentito ringraziamento all’Associazione Vittorio Bachelet, e al suo presidente il professor Balduzzi, per aver inteso dar vita a questo pomeriggio di studio che ha ad oggetto il nuovo regolamento del Consiglio superiore della Magistratura. Non potrebbe esservi occasione migliore per ricordare la figura di Piero Alberto Capotosti, mio illustre predecessore alla vice presidenza di questo collegio.

Il suo viaggio attraverso le istituzioni repubblicane lo ha visto protagonista prima quale vicario del Capo dello Stato in CSM e poi quale giudice e Presidente della Corte costituzionale.

Circa il suo modo di intendere le funzioni vicepresidenziali mi piace ricordare quanto narratomi dalla Professoressa Angela Del Vecchio - a lei e ai familiari presenti  rivolgo un caloroso saluto -; mai come negli anni trascorsi a Palazzo dei Marescialli, il Professor Capotosti sentiva la passione per l’incarico che copriva; una passione, peraltro, che lo spingeva a profondere un impegno e a mostrare un’abnegazione davvero non comuni. Ho avuto modo di sperimentare in prima persona quanto la complessità e la polivalenza delle funzioni vicepresidenziali assorbano energie e mettano a dura prova i temperamenti e le attitudini degli uomini che le detengono pro tempore.

Rivolgo un saluto e un ringraziamento ai due ex vicepresidenti oggi presenti, l’onorevole Mancino ed il Professor Verde.

Un recente studio del Presidente Silvestri, pubblicato peraltro proprio nel liber amicorum in onore di Piero Alberto Capotosti, si soffermava con sensibilità ed efficacia sulla delicatezza e la difficoltà che l’incarico vicepresidenziale assume nell’ordinamento; le ragioni di questa complessità e dell’anomala configurazione dell’istituto possono rinvenirsi in quella funzione ineludibile di mediazione, ma anche dalla variegata matrice culturale ed estrazione elettorale degli interpreti e degli attori con cui entra in relazione, nonché dall’esigenza di attenuare attriti assai frequenti.

Sul suo ruolo nel complesso delle dinamiche consiliari, la legge del 1958 e lo stesso Regolamento sono laconici. Ne discende una posizione che assume i tratti del primus inter pares e si inserisce nella singolare logica di una gestione duale con il Presidente del collegio.

Questa straordinaria complessità si proietta, in realtà, anche sul regolamento dell’organo di governo autonomo della magistratura.

Non è un caso che la dottrina giuspubblicistica se ne sia tenuta per lo più alla larga e ciò per due ragioni: la prima è che del Regolamento consiliare sono controverse la stessa natura, il peso nel sistema delle fonti di produzione del diritto, i confini di disciplina che ne demarcano la portata e l’efficacia. La seconda ha a che fare con l’idea che il Regolamento sia soltanto strumento per ordinare i lavori dell’Assemblea plenaria e che il suo contenuto assuma comunque un peso relativo, rispetto alle funzioni delineate dall’art. 105 Cost. Assai maggiore è, per comprensibili motivi, l’attenzione verso le regole per l’attribuzione degli incarichi direttivi e altre fonti minori le quali, rispetto al Regolamento, disciplinano ambiti specifici, ma dispiegano effetti diretti verso l’ordine giudiziario. Non a caso è stato osservato in studi recenti che  la concezione internistica del Regolamento ha resistito per sessanta anni mantenendosi scolpita nel nomen iuris dello statuto di funzionamento del CSM.

Le ambivalenze e certe logiche svalutative sulla portata del regolamento consiliare hanno trovato un punto di immediata emersione proprio in occasione della lunga opera di integrale modifica della disciplina regolamentare che ha dato vita alla complessiva riforma entrata in vigore nell’autunno del 2016. Devo dire, tornando con la memoria all’esperienza dei mesi in cui la riforma venne elaborata e poi approvata, che il Regolamento ha poi finito con il configurare un elemento cruciale per l’indirizzo generale del CSM e per i suoi lavori.

Gli stessi ambiti di preminente rilievo su cui è andata ad influire la recente riforma dimostrano questo assunto.

Le prospettive di trasformazione del ruolo consiliare tramite il nuovo Regolamento si concentravano, infatti, intorno a quattro snodi nevralgici: l’obiettivo di aprire il Consiglio alle relazioni con una pluralità di organi istituzionali e settori dell’ordinamento rispetto ai quali, in precedenza, si era determinato una sorta di isolamento e di distacco; la prospettiva di trasformare gli equilibri tra i collegi interni; l’esigenza di modificare il rapporto del CSM con l’opinione pubblica, favorendo la conoscibilità dei suoi procedimenti e cercando di renderne leggibili le traiettorie e i tempi; infine, l’indifferibile bisogno di dotarsi di istituti capaci di proiettare il Consiglio nella dimensione sovranazionale ed europea.

Eppure, non erano estranei al varo delle nuove disposizioni regolamentari gli antichi temi che hanno contraddistinto il dibattito pubblico sul Consiglio sin dai primi anni dell’entrata in funzione. Mi riferisco all’annosa questione del peso delle correnti rappresentative dei gruppi organizzati di magistrati; ai mai sopiti timori di esporre il governo autonomo ai venti della politica generale che spirano fuori dal palazzo; alle critiche rivolte sovente al CSM tacciato di autoreferenzialità, di cedere a tendenze spartitorie, di farsi, di volta in volta, sede di sviluppo di anomale direttrici di politica giudiziaria o, alternativamente, organismo insensibile alle trasformazioni della società e statico custode di un concetto di indipendenza ormai superato e anacronistico.

Tali questioni, sono affiorate nel corso dei lavori preparatori; ma si sono anche evidenziati gli antidoti decisivi e vitali che hanno accompagnato, durante una storia quasi sessantennale, la parabola del Consiglio Superiore. In primo luogo, la guida sapiente e attenta del Capo dello Stato, che ringrazio sentitamente in questa solenne occasione, anche per aver ritenuto oggi di onorarci della Sua presenza evidenziando, così, la continuità con la cura e autorevolezza con cui seguì i lavori della riforma regolamentare.

Ha pesato, poi, il senso di responsabilità dei componenti, capaci alla fine di liberarsi di ogni pregiudizio e di predisporsi a concorrere in una riforma di vasta portata e segnata da un ampio pluralismo dei contributi. E’ quest’ultimo un segnale di  incontrovertibile vitalità, quello che evidenzia, in una istituzione dotata di una sezione di autonomia significativa, la capacità di impiegarla ai fini del proprio rinnovamento di fronte ai tempi che mutano, e non nella logica di erigere argini di chiusura e difesa delle prerogative.

Nei mesi precedenti la riforma e nel corso di quelli successivi, è stata largamente condivisa, in Consiglio, l’idea che la nuova disciplina regolamentare dovesse sviluppare la portata virtuosa in un contesto ampio. Tratti di continuità possono così rinvenirsi anche con la precedente opera di riscrittura del Testo unico sul conferimento degli incarichi direttivi.

In questo senso, il nuovo Regolamento assume le sembianze di una riforma che non segna soltanto il metodo di fondo, ma ne è in certa misura il vero e proprio cuore pulsante. La disciplina regolamentare, dunque, riacquista la centralità che le spetta e ciò si scorge dalla modifica della disciplina circa le c.d. “nomine a pacchetto”, dai regimi di pubblicità dei lavori di Commissioni, Plenum e Comitato, dalle nuove disposizioni relative alla nomina dei magistrati che prestano servizio a vario titolo in Consiglio, e soprattutto nella ridefinizione del ruolo dello stesso Comitato di Presidenza nel sistema.

Signor Presidente, illustri ospiti, i lavori di questo pomeriggio potranno mettere in luce i primi esiti applicativi del nuovo Regolamento e, al contempo, definirne meglio il valore.

Le riforme incisive e proficue si misurano con l’esperienza e la speranza che questa consiliatura possa aver offerto nuove basi per una legittimazione dell’operato del CSM sembra potersi realizzare. Occorre, tuttavia, mantenere una prospettiva di metodo coerente, anche nel dare seguito alle novità recate dal nuovo statuto regolamentare consiliare. Il Regolamento, infatti, va ora valorizzato attraverso le prassi e singole scelte che le componenti consiliari sono chiamate a compiere. E’questo un invito rivolto in particolare alle componenti associate della magistratura affinchè facciano proprio il senso profondo di norme che hanno contribuito a scrivere, a conferirvi effettività con il diritto vivente e le prassi che, prendendo vita negli ultimi mesi del nostro mandato, risulteranno decisive per misurare il grado di adesione allo spirito delle nuove scelte di indirizzo cristallizzate l’autunno scorso.

Si tratta pertanto di mantenere alta la soglia della condivisione, della riflessione sui procedimenti del governo autonomo. E’ ciò che stiamo tentando di fare in questi giorni anche con l’Associazione Nazionale Magistrati. E’uno spirito prezioso da preservare, perché da un lato garantirà maggiore chiarezza e conoscibilità alle nuove regole di cui il Consiglio si è dotato; dall’altro, si aprirà lo scenario ideale perché le linee culturali che le hanno ispirate possano resistere nel tempo e trasmettersi anche alle fonti di rango subordinato che presiedono allo svolgimento dei lavori del CSM.

Questi segnali positivi, peraltro, assumerebbero ancora maggiore risalto, se si tornasse con il pensiero ai mesi in cui la discussione sulla riforma regolamentare è stata preceduta, accompagnata e seguita, dai propositi di modifica legislativa della disciplina del CSM. Ipotesi, queste ultime, sulle quali si scaricavano, come sovente accade, molte, forse persino troppe, aspettative. L’auspicio è che un legislatore interessato alla modifica della l. n. 195 del 1958 e alla disciplina del sistema elettorale del Consiglio si misuri con un sistema del tutto diverso dal precedente, proprio perché segnato da un impianto regolamentare nuovo.

In conclusione, la memoria torna ad un monito che il Professor Capotosti affidò alle pagine del quotidiano con cui collaborava nel 2009:

“Sono anni che si elaborano progetti, si organizzano convegni, si affrontano discussioni infinite sulla semplificazione e l’accelerazione dei processi, sulla revisione del CSM, sulla separazione delle carriere. E’ vero che si tratta di un’opera estremamente impegnativa, in cui occorre la massima collaborazione tra i vari soggetti interessati, ma intanto tutto resta fermo, in un gioco di veti e controveti, che non solo lascia irrisolti i problemi, ma anzi li aggrava, proprio per lo scorrere del tempo. Non sono più ammissibili deroghe o distrazioni, si tratta solo di agire.”

Noi, Signor Presidente, sotto la Sua guida possiamo dire di aver provato a fare la nostra parte.