26 Maggio 2016


Intervento al Convegno: Pos-moderno, il processo civile.

Il saluto del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Legnini al convegno che si è svolto il 26 maggio 2016 a Roma a Palazzo dei Marescialli

Presidente Grossi,

Signori Giudici,

Autorità,

Signore e Signori,

Rivolgo un caloroso saluto a tutte le personalità presenti in sala ed un sentito ringraziamento per la nutrita partecipazione.

Sono onorato di introdurre i lavori del convegno che il Consiglio Superiore della Magistratura ha inteso promuovere ed ospitare nella giornata odierna. Esso rappresenta un momento di riflessione su uno degli snodi cruciali del nostro tempo: quello dei rapporti tra decisioni giudiziarie nel settore civile e sistema economico, passando attraverso la ridefinizione del ruolo del giudice nell’ordinamento.

Ringrazio la Presidente Maria Rosaria San Giorgio che ha fortemente voluto questo evento, come pure rinnovo la mia gratitudine al presidente Canzio ed al procuratore generale Ciccolo che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa e che, dopo di me, porteranno il loro saluto, insieme al Consigliere Luca Palamara.

Vi è condivisa consapevolezza che confronti come quello di oggi sono destinati, tra l’altro, a intensificare il dibattito sulla funzione nomofilattica che la Costituzione assegna alla Suprema Corte di Cassazione.

Un sentito ringraziamento va infine ai magistrati dell’Ufficio Studi del Consiglio Superiore che hanno reso possibile questo convegno curandone l’organizzazione e il formato.

In questa fase storica è assai avvertita, nel mondo delle scienze giuridiche, l’esigenza di comprensione del legame tra contesto sociale e ordinamento; una sensibilità, questa, che deve animare in specie chi detiene la responsabilità del governo autonomo della magistratura. Ed è anche per questo che ringrazio sin da ora gli autorevoli relatori per la loro adesione e per il contributo prezioso che, ne sono certo, oggi sapranno offrirci.

Mi sia consentito esprimere un sentimento di particolare gratitudine al Professor Paolo Grossi che, prima nelle vesti di giudice costituzionale e poi  di Presidente della Corte, offre un alto magistero alla cultura giuridica italiana.

Da storico del diritto è già riuscito in un'impresa notevole, quella di aver saputo proiettare la ricostruzione diacronica del diritto moderno al cuore dell'attualità: in quel tratto di cammino che si suole, pur non senza incertezze terminologiche, nominare pos-moderno. Le originali e profonde riflessioni che è andato sviluppando  nel corso della sua attività di studioso del diritto e poi nell'esercizio della  funzione di giudice delle leggi, costituiscano lo sviluppo migliore di quella lungimirante affermazione di Tullio Ascarelli il quale, nel lontano 1959 ebbe a rilevare:

 “il diritto non è mai un dato, ma una continua creazione della quale è continuo collaboratore l’interprete e così ogni consociato ed appunto perciò vive nella storia ed anzi con la storia”.

Si tratta di una consapevolezza che ha accompagnato i decenni della crisi delle codificazioni, particolarmente accentuata nel tempo che viviamo e, soprattutto, è cresciuta con l’irrompere  dell'esigenza di  un nuovo ordine orientato alla valorizzazione della nomofilachia e del dialogo tra le Corti, anche sovranazionali.

Sono questi due fronti fondamentali su cui la riflessione necessita di essere  coltivata  così come occorre soffermarsi sulle tendenze indotte dall'affermarsi di nuove dinamiche sociali, economiche e di comunicazione.

Degli effetti di simili fenomeni sulla giustizia civile, sul rapporto tra il diritto dei privati e l'andamento dell'economia, sulla valutazione dei modelli giurisprudenziali, si discuterà oggi grazie alle relazioni degli illustri interventori che seguiranno.

Mi limito, in questo saluto introduttivo, a proporre sintetiche riflessioni che – alla luce di quello che subito dirò – incidono sulla trasformazione delle funzioni consiliari di fronte ai dirompenti cambiamenti del tempo che viviamo.

La stratificazione del sistema delle fonti di produzione del diritto, specie con l'irruzione nello scenario del diritto vivente europeo, della globalizzazione giuridica e della “rivincita dei fatti economici sul diritto” (cito testualmente il prof. Grossi dal suo recente volume Ritorno al Diritto), non può non determinare effetti rilevanti sulla giurisdizione  e conseguenti riflessi, che non esito a ritenere vasti e profondi, sull’esercizio delle funzioni proprie del Consiglio.

Il tema dell'incertezza del diritto e della necessità di recupero della prevedibilità della risposta giudiziaria è presente, non da oggi, nel dibattito tra gli studiosi del diritto civile e, sotto forme nuove rispetto al passato, anche nella stessa teoria generale.

La ricerca di àncore di certezza che rendano pronosticabili tempi e risultati delle controversie tra singoli è, infatti, inestricabilmente connessa con il ruolo dell’ordine giudiziario nel sistema e con lo sgretolarsi o l'indebolirsi delle usuali categorie giuridiche del diritto continentale su cui si sono formate generazioni di giuristi.

Così si ripropone l’antica e mai risolta questione dell’effettività. Considerata quale relazione tra il diritto e il divenire dei fatti, quale rapporto tra il fluire degli accadimenti sociali, politici ed economici e le norme volte a regolarli, essa rappresenta un fondamentale predicato di ogni ordinamento costituzionale.

La crisi della funzione legislativa e, per certi versi, l’affievolimento della forza della rappresentanza parlamentare,  da più parti evidenziata, è divenuta nel tempo determinante ed accresce la percezione di un ampliamento dell'attività interpretativa del giudice  specie di fronte al vorticoso evolvere dei mercati ed al crescente peso dei soggetti economici che agiscono su scala globale.

D’altronde, la forza del mercato globalizzato costituisce una delle principali cause della debolezza degli impianti legislativi  nazionali e costringe il giudice, nella sua attività interpretativa ed “adeguatrice”, a dialogare direttamente con le vicende economiche, a tenerne nel debito conto gli effetti.

In altre parole, l'interprete più che applicare  semplicemente il diritto al fatto,  spesso si trova a dover mediare, pur nell'irrinunciabile funzione dell'applicazione del diritto positivo alla fattispecie che gli è sottoposta, tra la novità-complessità dei fatti e le norme che faticano a contenerli. Il che segna, come è stato da più parti sostenuto, il progressivo superamento dell’antico modello di giudice quale mera “bocca della legge”.

Vengo quindi a proporVi - e lo faccio qui per la prima volta  sia pur per tratti sintetici e consapevole che essi richiederebbero ben altri approfondimenti - di individuare un filo conduttore tra questo tema dei nuovi e  diversi spazi dell’interpretazione giudiziaria e l'evolvere delle funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura.

Occorre sul punto innanzitutto domandarsi come si debba intendere, in questo nuovo scenario, la garanzia di autonomia e indipendenza del magistrato. E non è difficile concordare sul fatto  che  autonomia e indipendenza, intese quali terzietà di fronte alle parti, oggi si declinano non più solo in chiave difensiva, ovvero quali argini alle immissioni ed influenze esterne nella purezza del giudizio.

Tali valori costituzionali possono, invece, leggersi come capacità di governare la complessità degli interessi  e dei valori connessi alla controversia. Si tratta, dunque, di nodi problematici che richiedono ancor più che nel passato preparazione, cura della complessità della funzione, consapevolezza del ruolo del giudice e dell'istituzione giudiziaria nell'ambito dell'economia dei conflitti, capacità gestionale non inferiore al sapere giuridico.

Si spiega così perchè il lavoro consiliare su organizzazione giudiziaria, dirigenza, valutazioni di professionalità, indirizzi formativi,  assuma oggi una valenza in parte nuova; certamente diversa e più complessa che nel passato.

E’avvertita sempre più l’esigenza di offrire  al giudice strumenti adatti per affrontare le nuove sfide dell’interpretazione attraverso la definizione di modelli virtuosi, la diffusione di pratiche organizzative dagli effetti benefici, il confronto con altre culture e saperi.

Per conseguire il recupero di efficienza, l'organizzazione giudiziaria, la formazione e le competenze specialistiche del giudice assumono oggi un peso ben maggiore che nel passato. Infatti, la necessità di navigare spesso in mare aperto implica riconoscere che è venuto il tempo del confronto anche per il Consiglio Superiore, così da allontanare i rischi derivanti dalle banalizzazioni insite in vecchie tesi. Queste vedevano nelle linee guida di “diritto mite” volte a favorire la buona organizzazione degli uffici giudiziari, un rischio di violazione dell’autonomia del singolo giudice e persino uno stravolgimento della sua funzione.

Non è così. A dimostrarlo si registrano alcuni mutamenti culturali assai preziosi. Ad esempio, lo strumento dell’organizzazione su base tabellare non è più letto al servizio del solo principio della precostituzione del giudice naturale ai sensi dell’articolo 25 della Costituzione; esso assurge anche a strumento per perseguire l’efficienza e la tempestività della decisione, dunque a vero e proprio pilastro dell’organizzazione degli uffici giudiziari.

Non si può non accennare, poi, ad ulteriori svolte culturali come, ad esempio - e vado per titoli - al progetto organizzativo come parametro incidente nel processo di conferimento degli incarichi direttivi e alla valutazione delle prestazioni ottenute alla guida degli uffici giudiziari quale cardine per la conferma nell’esercizio delle funzioni dirigenziali.

In definitiva, vi è bisogno del contributo della cultura organizzativa per garantire una giurisprudenza vigile e ragionevolmente tempestiva, così che le innovazioni proposte dal Consiglio siano percepite in conformità alle esigenze poste dalla nuova realtà, tanto da richiedere progressivi adattamenti. E’questo il contributo che il Consiglio Superiore ha il dovere di offrire ai magistrati e al quotidiano esercizio della giurisdizione. Non a caso il Capo dello Stato, cui va il mio ringraziamento personale per la scrupolosa guida del Consiglio cui sovraintende, ha di recente ricordato che “i provvedimenti adottati dalla magistratura incidono, oltre che sulle persone, sulla realtà sociale e spesso intervengono in situazioni complesse e a volte drammatiche, in cui la decisione giudiziaria è l'ultima opportunità, a volte dopo inadempienze o negligenze di altre autorità. Per questo l'intervento della magistratura non è mai privo di conseguenze.
La valutazione delle conseguenze del proprio agire non può essere certo intesa in alcun modo come un freno o un limite all'azione giudiziaria rispetto alla complessità delle circostanze”.

Dunque, di fronte ai contorni di questo gravoso compito e al fine di favorire lo sviluppo delle attitudini necessarie nel giudice, il Consiglio evolve nella direzione di fornire modelli organizzativi, certo non vincolanti, ma neanche astratti e  indifferenziati. Anche così si contribuisce  a ridurre il debito di giustizia che grava sul nostro paese e ad incrementarne il tasso di civiltà culturale e giuridica. Si tratta di un auspicio e, al contempo, della promessa di profondere ogni energia a disposizione perché questo obiettivo possa essere raggiunto. Confronti e riflessioni come quelli di oggi costituiscono, dunque, non soltanto un contributo importante per la crescita di consapevolezza delle sfide nuove che la magistratura italiana si trova a dover affrontare ma anche, a ben riflettere, un sostegno ad un più moderno ed incisivo esercizio di quelle funzioni così rilevanti che la Carta Costituzionale ha voluto affidare al Consiglio Superiore della Magistratura. 

Anche per quest’ultima ragione, Vi ringrazio ancora e Vi auguro buon lavoro.