24 Gennaio 2018


Intervento al convegno organizzato dall’UCEI “La vera legalità – Dal ’38 ad ottant’anni dall’emanazione dei provvedimenti per la tutela della razza”

Sala Capitolare presso il Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva

Rivolgo un caloroso saluto alla Presidente dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) Noemi Di Segni;

alla Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi;

Ringrazio per la sua presenza il Ministro della Giustizia Andrea Orlando;

Autorità, autorevoli relatori, ospiti,

L’importante Convegno di oggi, che reca non a caso quale titolo  “La vera legalita” segue il viaggio della Memoria ad Auschwitz dei giorni scorsi, promosso dal Ministero dell’Università e della Ricerca e dall'Ucei, con la partecipazione degli studenti ed alla quale il CSM, per il secondo anno consecutivo, ha aderito.

Si aprono così idealmente i momenti di riflessione sugli ottanta anni dall’approvazione delle leggi razziali.  

Un anno apertosi, peraltro, con la nomina di Luciana Segre, a Senatrice a vita, una decisione del Presidente della Repubblica carica di significato.

Il CSM aderisce alle molteplici iniziative dell’80° perché  siamo convinti che occorra non smettere mai di riflettere  sugli orrori di quegli anni e soprattutto agire affinché l'odio razziale, i rigurgiti di razzismo ed antisemitismo, che si ripropongono minacciosi in questo nostro tempo, siano sconfitti per sempre.  

Ed è per questo che il Consiglio Superiore della Magistratura ha aderito al protocollo per la diffusione della cultura della legalità nelle scuole, insieme ad una pluralità di istituzioni, il MIUR e l’UCEI, orientata a promuovere: “Attività di sensibilizzazione e formazione nelle scuole sui temi dello studio e della ricerca sulla Shoah per il contrasto ad ogni genere di discriminazione”.

In attuazione di tali impegni, nei mesi scorsi, numerosi magistrati ordinari hanno partecipato alle iniziative organizzate con le scuole in ogni Regione, ed altre iniziative sono in programmazione per tutto l’anno. Abbiamo, inoltre, dato adesione alla bella iniziativa dell’UCEI “Il processo al Re”, che si è tenuta qualche giorno fa all’Auditorium.

Il Consiglio intende andare avanti. Infatti, promuoverà, entro l’estate, un convegno specifico sul tema dell’odio razziale esaminato muovendo dalla legislazione fascista per giungere alle attuali problematiche emergenti dei crimini d’odio e delle parole d’odio, con particolare riferimento ai nuovi mezzi di comunicazione, ad internet e ai social media.

Il prossimo 27 gennaio, proprio nella ricorrenza del giorno della memoria (data della liberazione del  Campo di Auschwitz), si svolgeranno  le inaugurazioni dell’anno giudiziario nelle 26 Corti di Appello del territorio nazionale.

Mi si lasci dire che non fu un caso che il regime fascista, nel 1938, abolì l’inaugurazione presso le Corti d’Appello, conservò unicamente la relazione del Procuratore Generale della Cassazione. Chiaro appariva il fine di recidere il legame tra la società e la magistratura che si voleva asservita al regime e imperniata del principio gerarchico.

Ebbene, anche per questo, nell’occasione solenne dell’apertura dell’anno giudiziario nelle Corti d’Appello, il Consiglio ha formulato l’invito a tutti i Presidenti a favorire forme di coinvolgimento delle scuole, in collaborazione con il MIUR, affinché  si dia conto anche delle attività  della magistratura e del CSM in attuazione del protocollo con l’UCEI; tutto ciò proprio in relazione alla ricorrenza degli ottanta anni dall’approvazione delle leggi razziali e del 70° dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale.

Le vicende delle discriminazioni razziali, delle deportazioni, della Shoah e delle leggi razziali, sono anche una questione di legalità e giustizia.

Non è un caso infatti che il  regime rafforzò i già penetranti poteri dell’Esecutivo nei confronti della magistratura, intervenendo con una “epurazione” che colpì da subito un centinaio di magistrati, tra cui i vertici della Cassazione, il Primo Presidente Lodovico Mortara, ebreo, che aveva difeso l’autonomia e indipendenza della magistratura, sostenendo la necessità del suo autogoverno; e il Procuratore Generale, Raffaele De Notaristefani, peraltro impegnato all’interno dell’Associazione Generale fra Magistrati d’Italia,  che sarà sciolta nel 1925.

Il Regime, dunque, mosse da lontano, per creare le premesse dell’accettazione delle sue sciagurate scelte di indirizzo legislativo.

Ecco perché una parte dei giudici italiani, di cultura solidamente liberale, tentarono – con alterni successi - di ridimensionare la portata delle Leggi di protezione della razza; e ciò sia sul piano processuale, interpretando espansivamente la propria giurisdizione, quanto sul versante sostanziale, limitando la loro portata applicativa.

Ma a depotenziare le sacche di resistenza giudiziaria contro l’infamia delle leggi “per la difesa della razza italiana”, era stata elaborata la norma simbolo, con cui si esautorava il giudice dal compito di interpretare tali  leggi liberticide: si tratta dell’articolo 26 del Regio decreto legge n. 1728 del 1938, che, assai esplicitamente, recitava:

<<Le questioni relative all’applicazione del presente decreto saranno risolte caso per caso dal Ministro per l’interno sentiti i Ministri eventualmente interessati e previo parere di una commissione da lui nominata. Il provvedimento non è soggetto ad alcun gravame sia in via amministrativa sia in via giurisdizionale.>>

Eppure, alcuni giudici italiani interpreteranno le norme della legislazione razziale in chiave eccezionale, negandone l’autosufficienza e l’esclusione dei mezzi di tutela: l’interpretazione restrittiva dell’art. 26, che riservava alla competenza del Ministro la dichiarazione di appartenenza alla razza ebraica, consentiva comunque ai cittadini ebrei l’accesso ai rimedi giurisdizionali, per tutte le  questioni di diritto sostanziale.

Naturalmente non mancarono anche giudici militanti del Pnf; e qualcuno giunse persino ad esaltare, in una sentenza, l’ “assoluto divieto sancito dalle recentissime leggi opportunamente adottate per la difesa della nostra razza” per cui è “necessaria una repressione che, se vuol essere efficace e ammonitrice, non può essere affievolita con la concessione di immeritati benefici”.

Al di là del contesto politico gravemente illiberale, occorre ricordare che la magistratura non poteva contare sullo scudo della terzietà e dell’indipendenza dagli altri poteri. Essa risultava, quindi, priva di quegli “anticorpi”, in termini di autonomia dal governo e dal potere politico, che solo la Costituzione repubblicana le avrebbe successivamente garantito.

Se non si può parlare di una vera e propria Resistenza della Magistratura, neppure possono, però essere dimenticati alcuni giudici coraggiosi, che operarono una vera e propria disubbidienza.  

Quelle pagine meritano di essere riaperte, e per questo, intendiamo promuovere ulteriori attività connesse alla ricorrenza: in particolare, una accurata ricerca sulle vicende umane e professionali dei magistrati  ebrei destituiti ed epurati; così come è il caso di approfondire la  conoscenza della sentenze di merito che condussero alla disapplicazione delle leggi razziali.

Dunque, una ricerca approfondita sulle sorti dei magistrati (ebrei e non) perseguitati dal regime, andando a ritrovare i carteggi relativi alla loro rimozione e riannodare, ove possibile, i fili del loro destino.

La dimensione storica e di memoria da coltivare, infine, potrà costituire un ponte per il contesto odierno che, come detto, non manca di presentare profonde inquietudini e desta preoccupazioni gravi e diffuse

Di qui l’esigenza di tenere alti i presidi della prevenzione e della repressione di quello strisciante clima di odio che è l’anticamera verso il riproporsi di modelli culturali, sociali e normativi che meritano una condanna ferma e un contrasto deciso, sul nascere.

Stiamo riflettendo, quindi sulla necessità di promuovere un impegno del Consiglio Superiore a svolgere un'elaborazione accurata dei  modelli organizzativi e delle linee guida, da proporre agli Uffici requirenti e giudicanti.

È indispensabile  agire nelle migliori condizioni organizzative per contrastare i reati di odio, di incitamento all'antisemitismo e alla discriminazione razziale.

Questa scelta seria - un impegno che il Consiglio contrae - deve essere inteso nel quadro delle generali attività di sostegno alla lotta integrata contro l’odio razziale. Essa, nella dimensione sia nazionale che europea,  è chiamata a tenere insieme: prevenzione e repressione, la sfida culturale connessa alla formazione, il culto della memoria come monito per le generazioni più giovani.

Su ciascuno di questi tre fronti, il Consiglio Superiore e la magistratura italiana manterranno alta la guardia e faranno sentire la propria voce.

Ed è con questi impegni ed auspici, che formulo a tutti Voi auguri di buon lavoro.