19 Giugno 2015


Discorso del Vice Presidente del CSM Giovanni Legnini all'Incontro, in Cassazione, con i Procuratori Generali presso le Corti d’Appello

L’occasione di questo quarto incontro dei procuratori generali mi è particolarmente gradita per rivolgere a tutti voi un caro saluto e un ringraziamento al Procuratore Generale, dottor Ciccolo, il quale ha riposto molta fiducia e profuso energie per la riuscita di questo evento; un momento di confronto proficuo i cui temi in esame testimoniano, quasi a livello paradigmatico, la dimensione culturale e la ricchezza di spunti sul piano operativo, investigativo e giurisprudenziale che riunioni come quella odierna alimentano.
A mia volta, esprimo apprezzamento per la presenza del Ministro Orlando e del Primo presidente di questa Suprema Corte, Giorgio Santacroce, i quali, prendendo parte ai lavori rendono piena e ricca l’interlocuzione istituzionale che contraddistinguerà le giornate di oggi e domani.

L’istituto disciplinato dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006 – lo ha già illustrato il Procuratore Generale – fu al centro, sin dalla sua genesi, di non lievi dubbi interpretativi. Se ne prospettava la natura di grimaldello per la surrettizia introduzione di una matrice gerarchica nell’organizzazione degli uffici requirenti. Tuttavia, un decennio di vigenza sembra aver fugato le preoccupazioni più marcate mostrando, al contrario, la vera natura e la funzione virtuosa sottese all’istituto. E’ una norma di raccordo che radica e favorisce esperienze di coordinamento, scambio di informazioni e tecniche investigative.
Inoltre, garantisce una fisiologica e positiva pratica permanente di collaborazione a rete che diviene, se correttamente esercitata, un istituto, capace di conferire effettività al dettato costituzionale. Ne possono discendere, infatti, un omogeneo esercizio dell’azione penale ai sensi dell’articolo 112 della Costituzione, secondo parametri e tecniche che ne tutelino la pienezza e omogenei standard di efficacia sull’intero territorio nazionale.
Ma l’istituto in esame, va ben oltre, a ben guardare, se è vero che esso garantisce altresì una costante capacità di adattamento all’evoluzione del panorama normativo che fa da cornice all’attività di indagine.
In altre parole, il coordinamento e la sinergia, la collaborazione tra gli uffici della Procura favoriscono i processi di formazione, aggiornamento e avanzamento di una cultura democratica dell’esercizio dell’azione penale; consentono di plasmare e arricchire il ruolo e il valore del Pubblico Ministero nell’ordinamento.

Non sarà inutile, allora, rileggere la norma che fonda i lavori di questi due giorni. Sotto la rubrica: “Attività di vigilanza del procuratore generale presso la corte di appello”, l’articolo 6 del decreto legislativo numero 106 del 2006, dispone :
“Il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonchè il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale.
Evidenziate le virtù sistematiche di tale disciplina, rileva aggiungere che essa contribuisce a plasmare in modo nitido il ruolo della Procura Generale, arricchendo non di poco il profilo di un figura che, a sua volta, è determinante nel dibattito circa il ruolo della pubblica accusa che non si limita certo al contesto nazionale. E’ noto, infatti, l’accesso dibattito che ha accompagnato la stesura della proposta di Regolamento per l’istituzione della Procura Europea.

Del pari rilevante è il confronto che si è andato sviluppando in sede di Consiglio Consultivo dei Pubblici Ministeri d’Europa, che di recente, sotto la Presidenza del Consigliere Mura, ha condotto all’adozione della Carta di Roma. Svolgo questi riferimenti affinchè si colga l’importanza del tema del coordinamento tra gli uffici di Procura.
Questione di notevole importanza, come dicevo poc’anzi, specie con riguardo ai rilevanti profili di novità che contraddistinguono ruolo e funzioni della magistratura requirente nel mutato e più recente contesto normativo. Prima di affrontare sinteticamente i singoli profili su cui le sessioni di oggi e domani si soffermeranno analizzando i profili applicativi dell’articolo 6 del decreto legislativo numero 106 del 2006, occorre rammentare, tuttavia, quale sia il ruolo in concreto esercitato dal Consiglio Superiore della Magistratura, nel favorire una cultura organizzativa avanzata ed evoluta degli Uffici requirenti e favorire modelli di coordinamento che sfruttino la prospettiva offerta dalla norma di cui ho dato lettura.

 

La definizione di uno statuto del Pubblico Ministero costituisce un ambizioso obiettivo che, in occasione dell’incontro informale dello scorso novembre, vede impegnata la Settima Commissione del Consiglio Superiore. L’opportunità di definire gli indirizzi organizzativi degli Uffici requirenti per inverare il ruolo di coordinamento attribuito al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, se possibile, è persino accresciuta dalle novelle legislative introdotte nell’ordinamento negli scorsi mesi.
D’altra parte ai quesiti inerenti le prerogative di sorveglianza e controllo di spettanza della Procura Generale non offrono risposte efficaci le linee guida che risalgono, ormai, al 2009. Ed in effetti non solo il panorama è mutato nel corso di questi sei anni, ma il periodo di vigenza della cruciale riforma del 2006, la sua integrazione con la prassi applicativa delle poche disposizioni dedicate al procuratore generale dal Titolo II del Libro I, del codice di procedura penale, il fatto che linee guida adottate nel 2009 fossero quantomeno laconiche proprio sulle funzioni dei procuratori Generali, rendono indispensabile un riordino completo della materia. E ciò nel presupposto che un modello organizzativo e un protocollo di azione delineati in via generale e preventiva potrebbero scongiurare i frequenti contrasti interpretativi tra gli Uffici di procura che, non di rado, sono sfociati in quesiti e dubbi condensatisi, in seguito, in pronunce, circolari o pareri consiliari, inevitabilmente caratterizzati da una certa disorganicità ed estemporaneità.
Per tali ragioni, l’attenzione del Consiglio è estremamente alta su questo profilo e il Consigliere Ardituro, Presidente della Settima Commissione, si soffermerà analiticamente sui contenuti e i tempi dei lavori dell’organo di governo autonomo, su questo delicato snodo della vita dell’ordine giudiziario. Per limitarmi solamente ad accennare questioni di vasta portata che coinvolgono le figure di vertice delle Procure Generali, rilevo che la riforma del Testo unico per il conferimento degli incarichi direttivi, giunta ad una fase di esame avanzato, prevede tra gli indicatori specifici di attitudine direttiva per la direzione di un Ufficio requirente di secondo grado, proprio l’attività di coordinamento nazionale. Si tratta di una spia, dunque, del crescente riconoscimento della preminenza delle funzioni di coordinamento quale dato che contraddistingue in modo preminente, l’istituto stesso della Procura generale.

 

Il rilevante riferimento all’attività di coordinamento che qualifica dunque la figura del procuratore Generale nell’ordinamento non esime, naturalmente, dal definire il fine ultimo cui tende l’attività di coordinamento. Soccorre, forse, la migliore dottrina amministrativistica. Questa, come noto, tende a legare l’attività di coordinamento con l’obiettivo di conseguire l’unitarietà di indirizzo.
Lo studio del tema che tra i primi, vide impegnato proprio Vittorio Bachelet, può declinarsi anche con riguardo alla funzione e ai compiti della Procure generali. Tanto è vero che la ricostruzione della figura che proponeva l’illustre e compianto amministrativista potrebbe costituire, ancora oggi, una delle basi di fondo per esaminare le questioni di dettaglio che caratterizzano le diverse sessioni di questo incontro.
Chiariva Bachelet che “il coordinamento è figura di sovraordinazione predisposta per realizzare la unità di indirizzo di uffici od enti dotati di autonomia”. Attraverso questa formula, dunque, si possono intendere da vicino i riflessi applicativi del potere di vigilanza affidato ai procuratori generali dall’articolo 6 del decreto legislativo numero 106 del 2006.

 

Tema di peculiare rilievo è, naturalmente, quello dei provvedimenti di sospensione dell’esecuzione dei pagamenti e dei termini per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie pubbliche e private, in favore delle vittime dei reati di usura e di estorsione.
E’ noto che, in seguito all’entrata in vigore della l. n. 3 del 2012, alcune norme di beneficio in favore dei soggetti vittima delle attività estorsive e di usura dispiegano effetti a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo. Ne discende l’importanza assoluta di garantire uniformità negli indirizzi, valorizzando il ruolo del Procuratore generale proprio secondo l’articolo 6 del decreto legislativo numero 106 del 2006. Si tratta – vale ribadirlo – dell’applicazione di norme di favore che si risolvono, in buona sostanza, in provvidenze in favore di cittadini vittime della consumazione di reati.
E’ pertanto particolarmente avvertita l’esigenza che il coordinamento dia vita a concreti indirizzi applicativi la cui efficacia, in sostanza, ridonda sulla necessaria interpretazione, uniforme ed omogenea, di una funzione di ristoro e sostegno che chiama in causa le responsabilità dei poteri pubblici ben al di là delle competenze del solo ordine giudiziario. Si profila in tutta pienezza, quindi, il rilievo assai largo che assume la funzione di vigilanza dei procuratori generali. Essa riconduce ad unitarietà di indirizzi interpretativi norme che presentano questioni rilevanti: si pensi al problema connesso con il riferimento, esplicitato direttamente nella disposizione citata, che prevede la necessità di un parere “favorevole” da esprimere da parte della magistratura requirente. Una disposizione, questa, che ha dato vita a complesse dispute sui presupposti e sulle valutazioni che sono alla base del parere medesimo, anche in relazione al coinvolgimento delle autorità prefettizie nell’istruttoria sulla base della quale sono chiamati a pronunciarsi definitivamente i procuratori della Repubblica.

 

Altrettanto significative sono le questioni che concernono gli atti di iscrizione dei procedimenti penali relativi ai reati fallimentari, a seguito dell’emanazione dei decreti che ammettono l’imprenditore al concordato preventivo. L’esigenza di raggiungere un’efficace livello di coordinamento e uniformità applicativa deriva dal fatto che tale funzioni degli uffici di magistratura requirente si pone al crocevia dei rapporti tra la necessaria effettività del sistema di repressione degli illeciti penali e il tessuto economico ed imprenditoriale che vive una stagione di profonda sofferenza per via degli effetti della drammatica crisi economica finanziaria che lo ha investito negli ultimi anni.
Simili considerazioni si estendono anche all’esigenza che il potere di vigilanza della procura generale si risolva in prassi uniformi ed efficienti anche con riferimento a due questioni colme di effetti sull’esercizio dell’azione penale e frutto di recenti novelle legislative. Mi riferisco alla nuova disciplina relativa alla speciale tenuità del fatto, quale causa escludente la punibilità dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo numero 28 del 2015 e alle nuove forme di coordinamento da esercitare con riguardo alle competenze acquisite dalle Procure Distrettuali in materia di lotta e contrasto al terrorismo.

 

Desidero concludere allargando lo sguardo alle mutazioni che si intravedono all’orizzonte nel profilo della magistratura requirente. Sembra potersi dire, ormai, che l’ordinamento favorisca e incentivi forme estese di collaborazione interistituzionale e cioè tra soggetti eterogenei. D’altronde, solo la sinergia tra i poteri pubblici appare capace di fronteggiare le complesse domande di giustizia penale e repressione degli illeciti che sorgono ed evolvono con elevata rapidità.
Non da oggi, del resto, si scorgono nuove frontiere di collaborazione con le autorità indipendenti, quale, su tutte, l’Agenzia Nazionale anticorruzione. Al contempo, si chiede alla magistratura requirente di acquisire una sensibilità nuova e sfumata sulle esigenze di repressione dei delitti che incidono sul sistema economico, sull’efficacia e il buon andamento degli uffici pubblici, sulle attività criminali che compromettono le possibilità di crescita economica. A fronte di queste esigenze, appare quantomai opportuno condividere il richiamo già svolto dal Procuratore Generale “all’ineludibile cooordinamento”, alla proiezione del ruolo nella dimensione della cooperazione internazionale, alla consapevolezza di prendere parte ad un sistema a rete che connette l’opera di prevenzione con la competenza, costituzionalmente demandata alla magistratura requirente, di reprimere le attività criminali. Dunque, si profilano forme nuove di pluralismo e collaborazione istituzionale cui contribuiscono, tuttavia, soggetti investiti di competenze tipiche e talvolta esclusive, come gli Uffici di Procura.
E si tratta di sfide tanto articolate e complesse da potere essere fronteggiate soltanto con lo scambio di esperienza e la diffusione di protocolli d’intesa nonché con il confronto, fertile di capacità diffusiva e di traduzione in un sistema codificato di buone pratiche, tra modelli organizzativi tabellari degli uffici di Procura.

Nel rinnovare, ancora una volta, l’auspicio che incontri come questo trovino sempre più spazio e frequenza nella vita dell’ordine giudiziario, vi rivolgo un sentito ringraziamento e i miei migliori auguri di buon lavoro.