04 Novembre 2016


Discorso del Vice Presidente del CSM Giovanni Legnini al XXI Congresso nazionale di Magistratura Democratica

Una delegazione del Consiglio Superiore della Magistratura, guidata dal Vice Presidente Giovanni Legnini al Palazzo di Giustizia di Bologna, incontra il Presidente della Corte D’Appello Giuseppe Colonna, il Procuratore Generale Ignazio De Francisci, tutti i Capi degli Uffici giudiziari del Distretto e il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati Giovanni Berti.

Il documento congressuale propone temi di grande interesse. Prendo le mosse dai due profili di preminente rilevanza, almeno dal mio angolo visuale: la risposta alle disuguaglianze e il lavoro - per meglio dire il ruolo - del magistrato. Sono gli oggetti di due sessioni congressuali, e a me preme di esaminarli non già per aggiungere la mia voce al ricco dibattito che avete promosso; piuttosto ritengo che, intorno a queste due aree tematiche, graviti il senso del nuovo rapporto tra i cittadini e la giurisdizione e quindi la grande questione della presenza del giudice nella società democratica odierna. Ritengo, tra l’altro, che anche grazie alle Vostre analisi, sarà possibile meglio valutare l'adeguatezza del percorso di cambiamento in atto in seno al governo autonomo della magistratura di cui, ovviamente, porto una non piccola parte di responsabilità.

La Storia di Magistratura Democratica ha inciso in profondità sulla vita dell’ordine giudiziario e sugli sviluppi complessivi della società italiana, proprio muovendo da questi due temi che hanno influenzato, non poco, negli ultimi tre decenni del secolo scorso, la funzione della giurisprudenza e la cultura della giurisdizione del nostro Paese.

Le posizioni di fondo del Vostro movimento, il carattere di originalità e il loro avanzato valore progressista hanno determinato in particolare a partire dagli anni settanta, notevoli mutamenti nel sistema giuridico italiano. Hanno influenzato non poco la crescita e lo sviluppo del Paese in anni cruciali e drammatici della storia repubblicana, finendo, tra l’altro, per incidere su larghi settori delle nuove generazioni destinate poi a costituire parte rilevante della classe dirigente del Paese.

I caratteri delle trasformazioni che da anni stiamo attraversando sono stati efficacemente riassunti facendo riferimento all'impatto delle novità tecnologiche, agli effetti della duratura e cronicizzata crisi economica e al drammatico fenomeno delle migrazioni. A mia volta potrei aggiungere ulteriori fattori di aggravamento della crisi del tempo presente; eppure rammento l’acuta riflessione svolta da Massimo Luciani secondo cui il senso di crisi è collegato al fatto stesso del mutare delle epoche e al senso di inadeguatezza che può cogliere l’interprete dei fenomeni giuridici e delle scienze sociali, in generale.

Comunque sia, elencare gli impetuosi fattori di crisi rappresenta la ragione non già per verificare la tenuta della storica posizione di fondo di MD, nata e sviluppatasi in un contesto storico radicalmente diverso da quello odierno, ma delineare il contributo che la giurisdizione è chiamata oggi a fornire al cospetto della crescente domanda di giustizia scaturente dalle nuove disuguaglianze. Un tema, questo, che richiama il quesito su quale modello di magistrato vi sia ora bisogno.

La questione della giurisprudenza creativa in Italia muoveva da un’opzione culturale e da una netta scelta di campo sul dibattito tra i fautori della natura di vere e proprie norme giuridiche rivestita dai principi fondamentali della Carta Costituzionale, e chi, invece, teorizzava la natura meramente programmatica di alcune diposizioni costituzionali, così da ridimensionarne la portata di formante e traino per la società italiana in movimento. Di tale impostazione faceva da complemento la, rinvenibile già nella mozione costitutiva di MD, della equiordinazione tra funzione giurisdizionale e funzione legislativa; una pari dignità sancita dal riconoscimento pieno della posizione di autonomia formale e sostanziale dell'ordine giudiziario. Figurava in quel testo fondativo l'affermazione del vitale criterio di interpretazione delle leggi orientato allo sviluppo del capoverso dell'art. 3 in funzione di tutela effettiva dei diritti sociali e delle garanzie del principio di eguaglianza sostanziale.

Tuttavia, queste linee di fondo hanno assunto connotati del tutto nuovi nel corso dei successivi decenni e appaiono radicalmente mutati in questa fase di vita dell’ordinamento. Si è così passati dalla ritenuta necessità di rompere il conformismo della giurisprudenza e di scardinare il tratto burocratico che permeava l'esercizio della funzione giudiziaria, ad una funzione creatrice ed integrativa oggi sempre più necessitata dai cambiamenti epocali che impegnano la giurisdizione. L’inadeguatezza dei fattori ordinanti e previsionali della legge parlamentare, le incertezze che spesso interessano la funzione dei precedenti giurisprudenziali e della nomofilachia, la velocità dei cambiamenti culturali, tecnologici e sociali immersi in un sistema di regolazione multilivello, sono tutti fattori che hanno determinato quella esplosione della domanda di giustizia e il moltiplicarsi degli ambiti di intervento della giurisdizione cui si fa cenno nei vostri documenti congressuali.

Siamo in presenza, dunque, di un mutamento paradigmatico che ha finito per affidare alla giurisdizione nuovi compiti di tutela ed affermazione dei diritti. Al giudice si chiede molto e spesso si scaricano sull’ordine giudiziario tensioni, responsabilità, aspettative che, nel medio termine, ne mutano anche gli spazi di legittimazione e credibilità.

Ed è anche di fronte a tale nuovo posizionamento e responsabilità della giurisdizione che va letta la crisi del sistema giudiziario italiano.

Ciò che emerge con crescente intensità anche da parte dei ceti deboli - ed anzi in taluni casi soprattutto da loro - è una forte domanda di effettività oltre che di certezza e prevedibilità; la celerità nella definizione del processo diviene voce dominante per misurare l’efficienza del sistema. Anche in tal modo si affacciano nuove tensioni e spazi inediti di conflitto con il potere politico, non di rado anche con il legislatore.

Ma guardiamo da vicino al tema delle disuguaglianze: qual è oggi il contributo più importante che può offrire la giurisdizione nel fornire le risposte di giustizia provenienti dagli ultimi e dai penultimi?

La giurisprudenza costituzionale e quella del giudice ordinario hanno consentito da anni di irrobustire il diritto vivente proprio conferendo vitalità ai principi costituzionali nell'ordinamento. E’vero che si tratta di una sfida mai vinta del tutto, che si rinnova. Ma non è solo sul versante dell'ampiezza e qualità dell'attività interpretativa del giudice secondo i principi costituzionali che la giurisdizione contribuisce a “rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana e alla effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, e sociale del paese”, secondo la celebre formula del secondo comma dell'art. 3 della Carta fondamentale. La giurisdizione ormai fa fronte anche al recedere dei sistemi di Welfare, ai conflitti tra libertà e diritti sociali; all’affiorare dei dualismi tra beni costituzionali già nella dimensione diffusa della vita giudiziaria. Ma la sfida più rilevante che la giurisdizione si trova oggi ad affrontare è quella di fornire, certo facendo vivere il disegno costituzionale, le risposte di giustizia in tempi ragionevoli.

Sfida che si vince non guardando indietro a metodi ormai esplorati - anche con successo - ma operando per l'affermazione in concreto dei diritti sociali e delle garanzie giurisdizionali. L'aumento della domanda di giustizia da parte dei ceti deboli e in difficoltà discende per una parte non secondaria dall'incapacità o dall’impossibilità, per effetto dei noti vincoli delle politiche dei governi, di fornire risposte soddisfacenti. Penso al il rispetto dell'ambiente e della salute, alla tutela del risparmio, ai diritti dei richiedenti protezione umanitaria.

In altri termini, per milioni di cittadini oggi l'istanza prevalente che si rivolge alla giurisdizione è quella della risposta in tempi rapidi e ragionevoli, quale principale condizione per corrispondere alle loro aspettative, e ciò spesso perché non ci sono o non sono sufficienti le norme, le procedure, le risorse per provvedervi. Si tratta, si potrebbe dire, di una nuova cangiante forma di supplenza.

E se è così, il tema dell'efficienza e dell'efficacia dei processi assume una luce nuova, funzionale al contrasto delle diseguaglianze perché chi è al vertice della scala sociale può anche fare a meno della risposta giudiziaria o trova il modo per “privatizzarne” in vario modo la funzione.

Dunque, il tema dell'efficienza non riveste più tanto una valenza economicistica o solo di necessità di fornire risposte alle pressioni della comunità internazionale, ma assume una valenza nuova. Quella, appunto, di contribuire a volte in via esclusiva al contrasto di vecchie e nuove diseguaglianze e di spingersi, quindi, fino al punto di assolvere a funzione perequativa; il successo nell'affrontare tali nuove sfide costituisce un corollario essenziale e non può più essere disgiunto né sottostimato rispetto a valori cardine della nostra tradizione giuridica: quelli dell'indipendenza e dell' imparzialità e della terzietà del giudice.

Se non si affronta con soluzioni radicali il problema dell'efficacia della risposta giurisdizionale, l'estesa e preoccupante sfiducia nelle istituzioni repubblicane rischia di riversarsi anche sull’ordine giudiziario. Un immigrato che attende mesi, a volte anni, per il riconoscimento del diritto d'asilo o per accedere allo status di rifugiato; un minore non accompagnato il cui futuro dipende dalle decisioni giudiziarie; un risparmiatore che ha visto vanificare i risparmi di una vita; persone la cui salute è messa a repentaglio da vecchi e nuovi fattori di inquinamento; un cittadino la cui reputazione e riservatezza è compromessa dall'utilizzo illecito dei circuiti informativi che transitano su Internet o dall'utilizzo fraudolento delle nuove tecnologie.

Quanto della risposta ai loro drammi si è trasferito dalla funzione di governo e amministrazione a quella giudiziaria?

In definitiva, all'accresciuto ruolo della giurisdizione anche di fronte alle nuove diseguaglianze e all'inesorabile aumento delle aspettative da parte dei cittadini, deve corrispondere un esercizio più efficace, consapevole e responsabile della funzione giudiziaria.

E allora la battaglia per i mezzi e le risorse umane, le riforme, il cambiamento del governo autonomo, vanno riletti alla luce di questo nuovo scenario.

Quando affermiamo che la Giustizia deve finalmente rappresentare una priorità per le politiche del Paese non possiamo che riferirci a tale mutato quadro all’interno del quale, peraltro, l'ordine giudiziario esercita la sua funzione costituzionale se riesce a conferire vitalità a tutti i valori tracciati nell’articolo 111 Cost.: parità delle armi, ragionevole durata, diritto a tenere riservato il dato sensibile che è parte integrante del processo.

Sulla drammatica carenza di personale amministrativo, sull'insostenibile scopertura degli organici magistratuali, sulla necessità di innalzare il livello e la qualità delle dotazioni tecnologiche, sulla esigenza di garantire sicurezza e funzionalità ai luoghi dove si amministra giustizia, è stato detto praticamente tutto. Il nostro compito è far comprendere che questi problemi vanno affrontati con piglio e consapevolezza nuovi. Gli impegni di recente assunti dal Governo, che vanno oltre i primi positivi, ma insufficienti passi degli ultimi anni, aprono una prospettiva nuova che dovrà trovare corrispondenza in decisioni sempre più indifferibili.

Ugualmente, l'ampio cantiere delle riforme sul processo penale e l'esecuzione della pena, la giustizia civile, le procedure concorsuali, il processo tributario, va affrontato orientando il sistema verso la specializzazione del giudice, al suo comunicare con saperi altri rispetto al diritto, pur mantenendo versatilità ed elasticità di fronte ad un mondo del decidere sempre più articolato. Da questo punto di vista, davvero, devono riaffermarsi terzietà, autonomia e indipendenza, ma non si può cedere alla malintesa richiesta di “neutralità” cui si riferiva Benjamin Constant. Quello giudiziario non è un potere neutro. Non può esserlo per definizione in questo tornante storico in cui è costretto ad assecondare l’evoluzione della società e a compensare ed attutire le fratture effetto della crisi.

A noi spetta di rinnovare in profondità il Consiglio Superiore della Magistratura. Il percorso è iniziato due anni fa e i primi importanti risultati sono stati conseguiti. L'autoriforma è in gran parte compiuta: non si tratta di parole o generici intendimenti ma di nuovi impianti normativi approvati.

Mi riferisco a nuovi testi che conoscete bene perché frutto anche del vostro contributo: il nuovo testo unico sulla dirigenza, le disposizioni più stringenti sui conferimento degli incarichi fuori ruolo e sugli incarichi extragiudiziari, il nuovo regolamento interno del Consiglio, la risoluzione di un anno fa sui rapporti tra politica e magistratura. Applicando regole selettive più stringenti e indicatori non più generici ma puntuali e riscontrabili con la motivazione delle scelte, abbiamo compiuto la prima, straordinaria tornata di nomine dei dirigenti con risultati soddisfacenti.

Le autorizzazioni per incarichi fuori ruolo ed extragiudiziari seguono ora criteri ordinati e possono incidere anche sulle scelte e le proposte a monte rivolte ai magistrati ordinari.

Penso inoltre che il dibattito sulle scelte riguardanti i magistrati fuori ruolo candidati ad incarichi dirigenziali non possa più svolgersi facendo finta che nulla sia cambiato. E’ mutato molto, invece.

Il nuovo regolamento interno contiene disposizioni capaci di determinare una svolta nella vita consiliare, nel rapporto con i Consigli giudiziari e, forse, anche di mutare il volto al CSM. Mi riferisco ai rinnovati regimi di pubblicità, ai procedimenti speciali che schiudono la vita di un’istituzione aperta e meno autoreferenziale. Mi riferisco alle nomine a pacchetto, al principio di collegialità, all’antico tema del riequilibrio dei rapporto tra Comitato di presidenza e plenum consiliare; un argomento, quest’ultimo che sta molto a cuore alla cultura di Magistratura democratica, da sempre sensibile ad tema della forma di governo del CSM.

Il lavoro sull'organizzazione giudiziaria è stato eccezionale ed inedito: penso alla recente delibera in punto di intercettazioni telefoniche; ai protocolli di gestione del contenzioso, all’enorme lavoro sulle buone pratiche organizzative e sull’implementazione della cultura organizzativa.

E' giunto il tempo anche di nuove e più incisive iniziative, alcune delle quali sollecitate con i Vostri documenti congressuali. Condivido il determinante valore del giudizio di conferma, la nuova considerazione per la variata qualità delle informazioni fornite dai consigli giudiziari, nonché l’esigenza di profondere un concreto sforzo per innervare di efficacia ed efficienza ilsistema delle valutazioni di professionalità.

Il CSM – e mi avvio a concludere – farà fronte a questi nuovi ambiti di innovazione e riforma. E cercherà di farlo rifuggendo dalle contrapposizioni sterili, dai modelli superati, dalle semplificazioni che non di rado hanno popolato la storia recente della vita e della cultura giudiziaria nel nostro paese. Ma ciò il Consiglio farà senza mai abbassare la guardia di fronte al reiterarsi di episodi riconducibili alla questione morale in magistratura.

Ebbene, nella piena consapevolezza del senso della sanzione disciplinare che deve essere orientata alla singola questione dedotta e mai prestarsi a far da modello, o peggio, a sistema di comunicazione esterna, occorre che la Sezione disciplinare sviluppi e fortifichi il proprio ruolo di marcia, come pure il CSM è ormai pronto a darsi un nuovo sistema di regole in punto di articolo 2 della legge sulle guarentigie per rendere ancora più effettiva la capacità di rimuovere delle cause di incompatibilità ambientale e funzionale.

Il senso dei lavori dei prossimi mesi non potrà prescindere, tuttavia, da una profonda riflessione su alcuni istituti fondamentali per il ruolo della magistratura oggi. Mi riferisco alle valutazioni di professionalità e, appunto, al giudizio di conferma. Anche queste due funzioni, direttamente riconducibili all’art. 105 della Costituzione, devono concorrere a plasmare il nuovo volto dell’ordine giudiziario. I criteri di selezione, di conferma, e di valutazione devono orientarsi all’individuazione di dirigenti dotati di capacità organizzativa, di volontà di innovazione. E’ questo il metodo per rendere sempre più noto e chiaro qual è il valore dell’efficienza nell’offerta di giustizia. Un obiettivo indissolubilmente legato - lo abbiamo visto - al compito che grava su tutti noi di mitigare le sperequazioni e le diseguaglianze, concorrendo all’equità sociale che è parte in definitiva di ogni idea di giustizia.

Alessandro Pizzorusso, descrivendo la stagione dell’Associazione Nazionale dei Magistrati a metà degli anni sessanta, così si esprimeva:

“Rimasta in mano ai magistrati più giovani, appoggiati da alcuni uomini illuminati appartenenti alle generazioni più anziane l’Associazione vide invece svilupparsi nel proprio seno un vivace momento di riflessione sul ruolo del giudici e nella società contemporanea, che venne polarizzandosi intorno al problema dell’attuazione della Costituzione ed a quello dei rapporti tra giustizia e politica”. E’trascorso ormai mezzo secolo da quella fase di storia dell’ordine giudiziario. E le urgenze, le istanze, le sfide non sono mutate del tutto, sono cambiati gli strumenti e le direttrici con cui vincerle.

E allora io ritengo che il CSM, proprio per il tramite del nuovo impegno sul piano dell’organizzazione degli uffici giudiziari, dell’apertura dell’organo di governo autonomo ad esperienze e stimoli prima lontani, possa aspirare a divenire un punto di riferimento per i magistrati italiani.

La nostra aspirazione, in una temperie tanto diversa, ma proprio insistendo nella direzione della professionalità, della formazione e sulla terzietà del giudice, rimane quella, come ipotizzava Pizzorusso, di fare di questo organo sia il “raccordo tra la Magistratura e gli altri poteri dello Stato”, sia un “vero e proprio rappresentante del potere giudiziario”.