08 Marzo 2017


Audizione del Vice presidente Giovanni Legnini presso gli Uffici di Presidenza riuniti delle Commissioni 1a e 2a del Senato della Repubblica.

Quale premessa di metodo, occorre precisare che il Consiglio Superiore della Magistratura, con una delibera del Comitato di presidenza adottata nella giornata di ieri, ha accolto la richiesta di apertura di una pratica perché la Sesta Commissione e poi il Plenum del CSM rendano parere sulle disposizioni recate dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13.

Infatti, molte delle disposizioni del decreto-legge in conversione hanno riflessi diretti o mediati sull’organizzazione giudiziaria.

Nel ringraziare gli Uffici di Presidenza delle Commissioni riunite per aver voluto dare corso all’audizione dell’organo di rilievo costituzionale di governo autonomo della Magistratura, è bene anche ricordare che il CSM, proprio in queste ore, sta perfezionando un atto di indirizzo che reca indicazioni, in punto di organizzazione degli uffici giudiziari, per fare fronte ai carichi derivanti dalla tutela giurisdizionale dei migranti che richiedono protezione umanitaria.

I contenuti di queste indicazioni, di natura generale e non vincolante rappresentano l’esplicazione delle prerogative del CSM in materia di organizzazione degli Uffici giudiziari. L’impianto della risoluzione è stato, naturalmente, delineato dalla Settima Commissione consiliare, presieduta dal Consigliere Claudio Galoppi, che è qui presente al mio fianco e che ringrazio sentitamente. Il testo è stato concepito in un periodo antecedente l’emanazione del provvedimento d’urgenza n.13 del 2017, ma in certa misura si è tenuto conto, in corso d’opera, della portata delle disposizioni da questo introdotte.

Desidero, tuttavia, indicare per titoli le misure che la proposta di risoluzione del CSM attualmente prevede:

I. innanzitutto, è già predisposto un piano di applicazioni straordinarie che fa seguito a delle prime indicazioni in materia di controversie sulla protezione umanitaria che il Consiglio aveva già delineato nel Luglio del 2016;

II. l’indicazione e la predisposizione di buone pratiche organizzative degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di protezione umanitaria e sussidiaria;

III. l’ipotesi di una convenzione da stipulare con il Ministero degli Interni per poter delineare il quadro di riferimento politico, economico e sociale del Paese di provenienza dei migranti;

IV. la previsione dei criteri di organizzazione tabellare per gli uffici giudicanti così da predisporre idonee misure di gestione dei flussi di contenzioso a vario titolo connessi con i flussi migratori, specie con riguardo ai criteri di specializzazione, flessibilità e non esclusività dell’impiego dei magistrati;

V. le direttive circa l’impiego della magistratura onoraria in seno allo sviluppo dell’Ufficio per il Processo dell’Immigrazione.

Ovviamente, queste soluzioni andranno misurate con le disposizioni aventi forza di legge introdotte dal decreto n. 13 e dalla legge di conversione che ne seguirà.

Venendo ai contenuti del decreto legge, si darà conto, di seguito, delle questioni più complesse, alcune delle quali saranno verosimilmente oggetto di trattazione nel parere che il CSM renderà ai sensi dell’art. 10 della legge n. 195 del 1958.

Una prima notazione riguarda l’istituzione di apposite sezioni specializzate per l’immigrazione, la protezione umanitaria e la libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea. Ai sensi dell’articolo 2, al Consiglio sono attribuite le precipue funzioni di:

- presiedere all’organizzazione delle sezioni specializzate, nel rispetto del principio di specializzazione, ed anche in deroga alle norme vigenti in punto di assegnazione alle sezioni. Ferma rimane, tuttavia, la quota di organico della magistratura ordinaria di cui disporre.

- predisporre e prevedere le modalità con cui è assicurato lo scambio delle esperienze giurisprudenziali e di prassi applicative tra i presidenti delle sezioni specializzate.

Ora, sarebbe ipotizzabile far richiamo alla competenza del CSM, per l’individuazione dei criteri di preferenza e di primazia tra eventuali più aspiranti a far parte delle sezioni specializzate.

In linea generale, potrebbe ritenersi opportuno che il Consiglio, nell’esplicazione delle prerogative di organizzazione delle Sezioni, possa fare leva su eventuali clausole elastiche, volte cioè a tenere conto della specifica condizione di ciascun Distretto presso cui le Sezioni specializzate sono istituite. Una proposta ipotizzabile potrebbe essere quella di introdurre il principio di differenziazione tra gli altri criteri cui si fa riferimento all’articolo 2, comma 2, del testo del decreto – legge.

La prospettiva comunque è quella di prestare grande attenzione alle esigenze di politica giudiziaria connesse con ciascun territorio, distretto di Corte d’appello e ufficio giudiziario. Occorrerebbe evitare eccessive concentrazioni di contenzioso, o prevedendo una sezione specializzata per ciascun distretto di Corte d’appello, o quanto meno garantire una diluizione del contenzioso su una platea ampia di uffici giudicanti; ciò specie in riferimento all’esigenza di una revisione delle piante organiche degli uffici dove saranno costituite le suddette sezioni. Gli organici di queste ultime, in altre parole, non possono subire sottodimensionamenti effettivi e gravidi di implicazioni sulla gestione di ingenti flussi di contenzioso.

Vengo ora gli elementi di particolare rilievo che concernono l’articolo 35-bis, introdotto dall’articolo 6 del decreto – legge, sulle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale. Il rito ivi disciplinato, è volto a decidere dei ricorsi avverso i provvedimenti di cui all’articolo 35: ovvero contro la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui é accordata la protezione sussidiaria, o anche il caso in cui a fronte della richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato, l’interessato sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria.

Si è qui in presenza di un punto nevralgico del bilanciamento tra esigenze di protezione giurisdizionale dei diritti di chi richiede protezione umanitaria ed esigenze di buon andamento degli Uffici giudiziari.

I tratti salienti di questa procedura devoluta alla competenza delle Sezioni specializzate possono così riassumersi:

a. trattazione in camera di consiglio del procedimento, salvo casi particolari in cui è disposta udienza con comparizione delle parti;

b. centralità della videoregistrazione del colloquio dell’interessato in sede di Commissione e della valutazione socio- economica-politica del Paese di provenienza;

c. decisione entro quattro mesi dal ricorso;

d. non reclamabilità del decreto (art. 35-bis, comma 6):

e. sua ricorribilità per Cassazione;

f. inapplicabilità della sospensione dei termini per il periodo feriale;

g. esplicita indicazione dell’onere di trattare con urgenza le controversie.

Sul complesso di queste soluzioni, è in corso un dibattito all’interno del CSM, che concerne, da un lato i rischi per il sistema di garanzie dovute alla previsione di un unico grado di merito; dall’altro, l’eventualità che la non reclamabilità del decreto determini un afflusso di contenzioso in Cassazione, con esiti impropri e controproducenti, considerando in particolare l’opera di rilancio della funzione nomofilattica intrapresa in forza del decreto-legge adottato nell’agosto scorso.

In particolare, è diffusa l’opinione che la mancata previsione di un gravame di merito contro il decreto del Tribunale, dovrebbe dare ingresso ad uno sviluppo di garanzie processuali più salde nell’unico grado di giudizio di merito. Tali ipotesi avrebbero specifico riguardo ad una eventuale riduzione dei casi in cui la sezione specializzata decide in camera di consiglio e ad un corrispettivo ampliamento dei presupposti per i quali la stessa Sezione, invece, definisce la regiudicanda dopo aver svolto l’udienza.

In linea generale, sembra auspicabile che l’udienza pubblica con il contraddittorio delle parti sia fissata quale regola generale, anche al fine di evitare possibili distonie con la disciplina dell’articolo 6 della Convenzione

Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Inoltre, l’esclusione della reclamabilità del decreto, che definisce il primo grado, giustificherebbe forse l’ipotesi di un giudizio da svolgere in forma collegiale; il che consentirebbe, peraltro, l’impiego funzionale, se del caso, della magistratura onoraria. Tuttavia, anche nel caso di impiego di giudici onorari, non si dovrebbe rinunciare alla condivisibile tendenza, che il decreto sviluppa con chiarezza, alla formazione specialistica per tali particolari tipi di controversie connesse con richieste di tutela ai sensi dell’art. 10 comma 3 della Costituzione.

Con riferimento all’onere di trattare con urgenza le controversie, si suggerisce di eliminare il riferimento, contenuto nel comma 15 del nuovo articolo 35-bis, “ad ogni grado”, poiché, considerando la portata di tale indicazione rispetto alla corte di Cassazione, la norma potrebbe ritenersi pleonastica o persino dannosa quanto ai risvolti organizzativi.

L’articolo 11 disciplina le applicazioni straordinarie di magistrati per l’emergenza connessa con i procedimenti di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e altri procedimenti giudiziari relativi ai fenomeni dell’immigrazione.

In particolare, è attribuito al CSM il compito di predisporre un piano di applicazioni extradistrettuali diretto a fronteggiare l’incremento del numero di procedimenti giurisdizionali riferiti alle richieste di accesso allo status di protezione internazionale ed umanitaria. Al riguardo, viene indicata in particolare la potestà consiliare di individuare gli Uffici giudiziari presso cui disporre le applicazioni; ne viene stabilito il limite massimo di venti unità.

In particolare, il comma 3 prevede i due incentivi: quello indennitario e quello di punteggio maturato che dovrebbero rendere, almeno in buona misura, più efficace il piano consiliare di applicazioni extradistrettuali.

Con riguardo all’ammontare del punteggio premiale per i trasferimenti, forse, si potrebbe stabilire un’ulteriore clausola di elasticità che consenta al CSM di incrementare il punteggio di anzianità, così da rendere più agevole il citato piano di applicazioni, specie se si tengono presenti le precipue esigenze che certi Uffici potranno lasciare emergere.

Da ultimo, nel corso dei lavori degli ultimi mesi in seno al CSM, è stata prospettata l’ipotesi di apportare una limitata modifica all’articolo 1235 del Codice della navigazione, che concerne, tra l’altro, le funzioni di polizia giudiziaria del Corpo della Capitaneria di Porto.

Tale ipotesi normativa sarebbe funzionale a consentire che gli ufficiali della Guardia costiera, impegnati sovente nelle operazioni di salvataggio in mare e dunque in primario e diretto contatto con i trasporti di migranti, possano fattivamente partecipare alle attività di accertamento dei reati connessi con l’immigrazione e, dunque, contrastare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani. Ciò consentirebbe di sfruttare al meglio, anche sotto il profilo dell’esercizio dell’azione penale, le delicate fasi che hanno luogo al momento dell’accertamento delle identità dei migranti e il loro soccorso in mare.

In tale prospettiva, anche sulla base di esperienze investigative condotte da alcune Procure la cui competenza insiste sui circondari marittimi, si prospetta l’opportunità di introdurre una esplicita modifica all’articolo 1235 del Codice della Navigazione, nel corpo delle disposizioni recate dall’articolo 18 del decreto – legge in conversione. La modifica potrebbe equiparare la

Capitaneria di Proto agli altri Corpi dello Stato nell’espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria ai sensi dell’articolo 57 c.p.p.